Enna. I tempi dell’inchiesta sulla casa di riposo per anziani Sant’Antonio di Pergusa, eseguita dalla Guardia di Finanza del comando provinciale, e che ha portato all’arresto del titolare e di suo nipote, il 14 ottobre dello scorso anno, ed ai domiciliari di due operatrici sanitari che operavano all’interno della casa di riposo, potrebbe allungarsi. Il pm Marco Di Mauro ha chiesto e ottenuto dal Gip, Luisa Maria Bruno, un incidente probatorio. Il giudice Luisa Maria Bruno, che cinque mesi fa ha firmato un’ordinanza ha disposto, per martedì mattina, la procedura di inserimento di nuove prove nell’inchiesta. Questo supplemento istruttorio obbligherà alla nomina di un perito che dovrà valutare le condizioni mentali e la capacità di intendere e di volere di alcuni anziani, che erano stati interrogati in occasione dell’inchiesta. Alcuni ricoverati si sono espressi positivamente sull’operato di Paolo Luciano Tomaselli, titolare della casa di riposo, e del nipote-dipendente Carmelo Murasi, che sono difesi dagli avvocati Gabriele Cantaro e Giovanni Avila, i quali non si sono opposti alla richiesta di incidente probatorio. Si sta cercando di offrire al magistrato il maggior numero di elementi, per cercare di scagionare i due imputati, accusati di maltrattamenti nei confronti dei ricoverati. Sono stati numerosi gli anziani, ospiti del centro, i loro familiari e medici di famiglia ad essere interrogati per avere un quadro, il più esatto possibile, della situazione. La difesa vuole fare chiarezza e vuole eliminare l’accusa di maltrattamenti degli anziani e l’abuso di sedativi. L’indagine è partita dalle denunce di alcuni ex dipendenti ed i finanzieri all’interno della casa di riposo installarono delle video camere per registrare quello che succedeva all’interno, subito dopo è scattata l’inchiesta e gli arresti delle quattro persone che gestivano la casa di riposo, dove è anche morta una signora non assistita adeguatamente dal punto di vista medico.
Enna. Prosegue l’inchiesta della Finanza sulla casa di riposo Sant’Antonio di Pergusa
Due Corsi di formazione sotto la lente di in gradimento della Procura di Enna
Anche ad Enna i corsi di formazione della Regione sono caduti sotto la lente di ingrandimento della Procura della Repubblica che sta indagando su un corso di formazione svoltosi alcuni anni fa. La conferma è arrivata dal Procuratore Calogero Ferrotti e parecchi persone sono state iscritte nel registro degli indagati. Il titolare dell’inchiesta è il Pm Fabio Scavone ed a svolgere le indagini sono stati incaricati i finanzieri del comando provinciale L’indagine dovrà chiarire se effettivamente i corsi sono stati fatti, come è stato utilizzato il finanziamento della Regione e se i corsisti sono stati pagati, quello che era loro dovuto visto che avrebbero dovuto percepire 7 euro al giorno, ma pare che di questi soldi non si è visto proprio niente. Un paio di mesi fa alcuni corsisti si erano rivolti ad un avvocato per procedere ad un class action nei confronti della Regione, visto che i corsi sono stati fatti ed i corsisti hanno frequentato, ma non sono stati mai pagati.
C’è un parallelo investigativo fra Enna e Catania ed a confermarlo è il procuratore Calogero Ferretti, nel secondo caso ad esser stati denunciati sono gli organizzatori di un corso di formazione, ed i partecipanti pare che avrebbero pagato, seguito delle lezioni, svolto un tirocinio, sostenuti e superati gli esami, ma poi scoperto che potrebbero essere stati presi in giro perché il titolo assegnato loro non aveva niente di ufficiale e di legale. Sul procedimento penale si conosce poco, non si sa se ci sono stati interrogatori dei denuncianti e degli indagati, se nono state fatte delle notifiche. La Procura della Repubblica ,in questi due casi, vuole vederci chiaro per vedere se c’è stata truffa o sperpero di denaro pubblico.
Enna. Casa di riposo Sant’Antonio di Pergusa, incidente probatorio
Enna. Nell’incidente probatorio relativo alla casa di riposo “Sant’Antonio di Pergusa”, chiusa dopo l’inchiesta del comando provinciale della Guardia di Finanza, tre ospiti sono stati chiamati a deporre davanti al Gip Luisa Maria Bruno e le risposte che hanno dato al Pm Marco Di Mauro non sono state rose e fiori perché i tre hanno dichiarato che “Gestivano la mia pensione ma non mi davano mai spiegazione sulla mia posizione finanziaria”. “Non si mangiava tanto bene ” e una di loro ha detto che “gli sono spariti diversi oggetti d’oro di sua proprietà. Di fatto c’è da dire che gli oggetti d’oro sono stati trovati dalla Guardia di Finanza nel cassetto dove dicevano i proprietari. Sono accuse veramente pesanti nei confronti del titolare Paolo Luciano Tomaselli e del nipote-dipendente Carmelo Murasi, difesi dagli avvocati Gabriele Cantaro e Giovanni Avila. Intanto, a sorpresa, ai quattro indagati, che sono stati arrestati con le due operatrici ai domiciliari, difesi dall’avvocato Giovanni Palermo, si sono aggiunti altri due dipendenti, di cui ancora non sono stati detti i nomi, difesi dagli avvocati Patrizia Di Mattia e Angela Patelmo. Per uno dei nuovi indagati, difeso dall’avvocato Di Mattia, viene ipotizzato il reato di circonvenzione di incapace. Per un’anziana ospite del centro, il Gip, su richiesta del Pm, ha nominato un perito, il medico legale Salvatore Bruno, per verificare lo stato delle sue condizioni mentali, e se è nelle condizioni di rispondere compiutamente e con logica alle domande che le saranno rivolte sulle questioni della casa di riposo. Praticamente, in questa vicenda, c’è un secondo atto quello, dell’esame di tre anziani, che ora si trovano ricoverati in altre case di cura. Gli anziani hanno confermato determinate accuse, come quello di avere mangiato male, ma non hanno dichiarato di avere subito dei maltrattamenti fisici. Interlocutoria la conclusione di questo incidente probatorio per cui è probabile che l’accusa di maltrattamenti fisici verrebbe a cadere, ma ce ne sono tante altre formulate dai finanzieri, che nell’operazione sono stati diretti dal tenente colonnello Giuseppe Carella e dal capitano Antonino Licciardello a cominciare dall’uso non certo razionale di sedativi per fare stare calmi i ricoverati.
Enna. Stipendi d’oro dalla Regione anche all’ex ASI di Dittaino, oggi Irsap
“Nasce negli ’60 l’Area Industriale di Dittaino per essere un’importante fattore di sviluppo ed addirittura intorno agli ’90 tra le istituzioni della provincia fu sottoscritto il “Patto Territoriale per lo sviluppo “ con la distribuzione alle varie ditte che presentarono progetti circa 147 miliardi delle vecchie lire ed altri soldi dalla legge 488, mentre dai Piani Integrati territoriali (Pit) arrivarono circa 10 miliardi delle vecchie lire per la realizzazione delle rete fognarie in tutta l’area di Dittaino, che stava diventando, anche per le tante agevolazioni fiscali e i costi bassi dei terreni un punto di riferimento per le grandi industrie in quanto la zona era a pochi chilometri dall’autostrada Palermo – Catania, a mezz’ora dall’aeroporto di Catania, ad un ora e mezza da quello di Palermo.
Le imprese nazionali e regionali arrivarono, ebbero un certo sviluppo, si incominciò a pensare ad un allargamento dell’Area Industriale, di un nuovo piano regolatore, la possibilità di aprire una zona per la logistica. Tutto faceva pensare veramente a Dittaino come fattore di sviluppo per l’intero territorio. Invece con l’arrivo della crisi globale, con la gestione da un commissario all’altro del consorzio, da più di cinque anni si assiste ad un lento ed inesorabile declino di quest’area industriale, che avrebbe potuto essere importante per tutti e non lo è stata” così riportavamo già in anno fa in una precedente news. Sulle vicissitudini che possono aver determinato la chiusura dell’attività di singole imprese, bisogna analizzare il fenomeno per quello che è.
E, mentre l’area soffre da anni di gap infrastrutturali, che, specie nel caso di aziende di nuova costituzione, sono fatali, “l’esercito degli impiegati” continua la sua attività. E’ di questi giorni la notizia che a dirigere le ex aree industriali di Sicilia, oggi Irsap, la Regione spende all’anno per 25 dirigenti 3 milioni e 223 mila euro l’anno, 161 dipendenti del comparto non dirigenziale al costo di 8,3 milioni, e poi 16 lavoratori ex Eas, 35 contrattisti e un nutrito gruppo di pensionati al costo di 2,8 milioni di euro l’anno. Per il personale l’Irsap spende 14 milioni di euro, ma sono soprattutto i supercompensi dei dirigenti a pesare sulle casse dell’ente, dai 240 mila euro del direttore generale Giuseppe Barbera ai 209 mila euro di Dario Castrovinci a Siracusa, i 202 mila di Fernando Caudo a Messina o i quasi 200 mila euro di Antonino Montalbano a Palermo.
Ed anche all’ex ASI di Dittaino, in provincia di Enna, qualche importo di stipendio è circolato, se non fosse che l’attività risulterebbe ferma, nulla da dire, ad esempio riportiamo quanto già pubblicato da un quotidiano regionale: 115 mila euro ad un dirigente di 2’ fascia, 110 mila euro ad un dirigente tecnico ed altrettanti al responsabile relazioni esterne. In elenco pure il deputato ennese Mario Alloro, in aspettativa, con un costo sceso a 68 mila euro.
Enna. Accusate di calunnia nei confronti del fratello, prosciolte due sorelle
“Erano accusate da parte del fratello di averlo calunniato a seguito di un’azione civile in cui due sorelle chiedevano l’annullamento del contratto di locazione della casa di famiglia. E per tutta risposta si erano beccate una denuncia per diffamazione e calunnia. Adesso sono state prosciolte, perchè le accuse vengono archiviate, due anziane sorelle ennesi, L. P. e L.L., difese dall’Avvocato Carmelo Mirisciotti. Le donne vivono fuori dall’Italia, ma in questi giorni sono ad Enna per la causa civile.
Il GIP Elisabetta Mazza, su richiesta della Procura, ha archiviato il procedimento, nonostante l’opposizione all’archiviazione da parte del fratello. Ma la calunnia, ha scritto il P.M. Francesco Rio, si configura solo se viene fatta un’accusa nei confronti di un’altra persona “pur sapendola innocente”, ma per la Cassazione questo non si può dire “se sospetti, congetture, o supposizioni siano favorevoli o fondati su elementi di fatto tali da ingenerare dubbi condivisibili”. Il Giudice, afferma l’Avvocato Mirisciotti – ha accolto i contenuti delle nostre memorie difensive e fatto chiarezza su una vicenda che risale al 2011, restituendo la giusta serenità alle mie clienti”.
Calascibetta. Botte tra anziani causa sparizione di un montone, caduta l’accusa di tentato omicidio
Per Salvatore Folisi, agricoltore di 71 anni di Calascibetta, è stato rinviato a giudizio dal Gip Elisabetta Mazza per lesioni aggravate, mentre è caduta l’accusa di tentato omicidio. Tutto nasce da una lite, avvenuta nel maggio di due anni fa, quando Salvatore Folisi, accusando un altro anziano agricoltore della sparizione di un montone, lo ha colpito alla testa, ferendolo gravemente. L’assalitore ha dichiarato di averlo colpito con una tavola, mentre il ferito ha dichiarato che era stato accoltellato, procurandogli ben 40 punti di sutura alla testa, mentre Salvatore Folisi, difeso dall’avvocato Giuseppe Lo Vetri, ha riportato nelle colluttazione delle ferite, guaribili in 15 giorni. Il processo si aprirà verso la fine del mese di aprile dinanzi al Tribunale di Enna e l’anziano si è costituito parte civile viene difesa dall’avvocato Bruno Grimaldi. L’imputato, durante l’udienza di convalida, ha accusato la vittima di essere andato a casa sua, della sparizione di un montone e di averlo aggredito con una tavola, da qui scaturiva una colluttazione, mentre la tesi della vittima è diversa, dichiarando essersi allontanato dalla casa di Folisi, questo lo ha inseguito, lo ha raggiunto e lo ha colpito, con un coltellaccio di cucina, provocandogli una ferita poi suturata in ospedale, trasportato dall’ambulanza del 118, con 40 punti visto che la ferita era lunga circa venti centimetri. Saranno, quindi, i giudici del tribunale di Enna a decidere su questa lite che ha avuto delle conseguenze notevoli visto che tutti e due gli anziani sono stati costretti a ricorrere alle cure dei sanitari del Pronto Soccorso dell’Umberto I, anche se la peggio l’ha avuto l’anziano, ferito alla testa. I carabinieri, sopraggiunto perché chiamati dai vicini, hanno potuto constatare che a terra c’era parecchio sangue, mentre l’anziano era stato trasportato al pronto soccorso ed i medici in un primo momento si sono riservata la prognosi, ma dopo qualche ora dichiarato fuori pericolo. L’arresto di Folisi era stato eseguito dai militari della stazione di Calascibetta, diretti dal luogotenente Gaetano Silvano. All’udienza preliminare ora il Gup ha accolto in parte la tesi difensiva, per cui è caduta l’accusa di tentato omicidio.
Traffico illecito di rifiuti tossici: DIA sequestra aree sito minerario Pasquasia
Nella tarda serata di ieri 26 marzo 2014 la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ha proceduto al sequestro preventivo delle aree del sito minerario dismesso di Pasquasia, interessate da lavori di bonifica affidati alla ditta 1Emme soluzioni ambientali s.r.l..
Il sequestro è stato preceduto nei giorni scorsi da altra operazione analoga che aveva portato all’arresto di cinque persone trovate in possesso di oltre 6.700 kg. di rame e di altri rifiuti ferrosi provenienti dal sito minerario dismesso ed illecitamente sottratti.
Nell’occasione veniva altresì sequestrata una ingente somma di denaro contante custodita all’interno di automezzi provenienti dall’agro casertano che avrebbero dovuto acquistare il rame posto in giudiziale sequestro quale corpo di reato.
Le ipotesi di reato per cui si procede spaziano dal traffico illecito di rifiuti tossico nocivi all’associazione per delinquere semplice finalizzata alla frode in pubbliche forniture ed a vari reati contro la P.A. e la fede pubblica.
Nel corso dell’operazione condotta ieri dai Carabinieri del N.I. di Enna, il N.O.E. di Catania su impulso dell’autorità giudiziaria e con la collaborazione della locale Procura della Repubblica ha proceduto al sequestro in un deposito di Catania, di quattro autotreni contenenti lastre di cemento amianto provenienti dal sito di Pasquasia illecitamente trattate o non trattate affatto secondo le normative antinquinamento.
Informazioni di garanzia sono state notificate ai responsabili della ditta 1EMME soluzioni ambientali s.r.l. , ad alcuni responsabili di cantiere e sub-appaltatori e ad altri pubblici ufficiali resisi responsabili dei reati di cui sopra.
L’avvenuto sequestro del sito è stato notificato al responsabile del distretto minerario presente sui luoghi per conto dell’Assessorato Regionale all’Energia e servizi della Regione Sicilia, proprietario dell’area della miniera dismessa.
Le indagini sono ancora in corso.
Enna. Istituzione Libera Università Kore, occupazione A19, le motivazioni della sentenza
Non ci fu interruzione di pubblico servizio da parte dei manifestanti che occuparono l’autostrada A19 perché era stata già chiusa al traffico. E’ uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza d’appello nei confronti di coloro che il 5 maggio 2005 parteciparono alla protesta sull’autostrada per spingere l’allora ministro della Pubblica istruzione Letizia Moratti a firmare il decreto di istituzione della libera università Kore. Lo scorso 7 dicembre la Seconda sezione della Corte di Appello di Caltanissetta, presidente Sergio Nicastro, a latere Miriam D’Amore e Giovanni Carlo Tomaselli, aveva ridimensionato le pene comminate dal tribunale di Enna il 20 gennaio 2010. Sull’assoluzione dall’accusa di resistenza a pubblico ufficiale per l’ex senatore Mirello Crisafulli, per il consigliere comunale Angelo Salamone, Giuseppe Mazzola e Filippo Caccamo, nelle motivazioni si sottolinea che non si può configurare la resistenza perché i manifestanti stavano fronteggiando il cordone di polizia che era posto per impedire l’ingresso in autostrada e che non vi fu impiego di forza fisica, e che il cordone di agenti si sciolse non perché fu forzato dai manifestanti, ma perché era arrivata la comunicazione che il transito era stato interrotto e quindi non vi era più ragione di impedire l’ingresso sulla carreggiata. Imputati al processo d’appello erano Cinzia Dell’Aera, Roberto Marino, Carmelo Di Venti, Vinicio Crisafulli, Paolo Schillaci, Michele Galvagno, Giuseppe Mazzola, Giovanni Barbaro, Filippo Cancarè, Angelo Caramazza, Maximiliano Crisafulli, Paolo Garofalo, Giancarlo Marzia, Maria Lo Verde, Salvatore Muratore, Luigi Savarese, Filippo Caccamo, Angelo Salamone, Vladimiro Crisafulli, Cataldo Salerno, Lorenzo Colaleo, Franz Pier Bruno, Salvatore Termine. La Corte entra nel merito delle assoluzioni per interruzione di pubblico servizio per avere, secondo le accuse impedito il transito sulla A 19. Per prima cosa distingue nelle motivazioni, il diverso comportamento di chi entrò sulla strada da chi rimase in attesa sulla piazzola di sosta, quindi senza creare quel pericolo che determina poi la chiusura di una strada e la conseguente interruzione del servizio pubblico. Alle 18 alcuni manifestanti avevano, infatti, cominciato ad occupare la bretella autostradale e dopo avere raggiunto l’imbocco si erano fermati in attesa che venisse bloccata la circolazione. Questi entrarono sull’autostrada solo dopo le 19 quando il traffico era stato deviato. Le forze dell’ordine avevano già predisposto con l’Anas un servizio di chiusura del tratto nei pressi dello svincolo di Enna, dato che già nel primo pomeriggio era stata preannunciata la protesta eclatante sulla A 19. L’interruzione di pubblico servizio si configura solo per coloro che impedirono il transito sullo svincolo, prima che venisse bloccata la circolazione.
Piazza Armerina, rapina in via Sette Cantoni, arrestato un piazzese di 28 anni – video scippo
Nel tardo pomeriggio di ieri, agenti del Commissariato di P.S. di Piazza Armerina, diretti dal Dirigente, dott. Fabio Aurilio, al termine di articolate indagini, avviate subito dopo il fatto delittuoso e condotte senza soluzione di continuità, hanno arrestato Alberto Gioia, di anni 28, di Piazza Armerina, con precedenti penali e di polizia, individuato quale autore della rapina commessa, pochi minuti prima delle 15, in via Sette Cantoni, ai danni di un’anziana donna di 78 anni, colta di sorpresa alle spalle, scaraventata sulla sede stradale e privata della sua borsa.
Le indagini, avviate immediatamente dagli uomini del Commissariato, intervenuti sul luogo del reato pochi minuti dopo i fatti, hanno consentito di addivenire alla compiuta identificazione del colpevole, travisatosi per commettere il reato ed individuato in un pregiudicato noto agli investigatori per i numerosi reati, contro il patrimonio ed in materia di stupefacenti, di cui si è reso responsabile negli anni scorsi.
Dopo averlo identificato, grazie anche alle riprese estrapolate da alcuni sistemi di video-sorveglianza installati presso esercizi commerciali del centro storico, gli agenti hanno avviato le ricerche del colpevole, rintracciandolo poche ore dopo, all’interno dell’abitazione di un familiare.
Il giovane, messo alle strette, ha confessato subito la propria azione delittuosa, confermando la dinamica degli eventi, così come ricostruita dagli investigatori.
Dopo aver “adocchiato” la vittima, l’uomo l’ha pedinata, lungo le strade del centro storico, fino al Piano Alceste Roccella e, qui, subito dopo la svolta in via Sette Cantoni, ha messo in pratica il suo piano, aggredendo alle spalle l’anziana donna, spinta senza remora alcuna sul basolato lavico della sede stradale, mentre le strappava la borsa dalla mano.
Guarda il video dello scippo
Enna. Agente della polizia penitenziaria aggredito da detenuto
Attimi di forte tensione quelli vissuti nel corso della mattinata di giorno 26 marzo durante la quale si sono sfiorate conseguenze gravi, per fortuna evitate dall’intervento con alta classe e professionalità di un gruppo di Poliziotti Penitenziari piuttosto operativi. Gli stessi agenti, infatti, sono riusciti a sedare un’aggressione da parte di un detenuto andato in escandescenza.
Per fortuna si è trattato di un caso isolato, vile e meschino, assolutamente evitabile e senza una ragione e/o una giustificazione. Un detenuto di origini siciliane al rientro in cella si è scagliato addosso all’operatore con testate calci e pugni – da quel momento per diversi ed interminabili minuti è scoppiato il caos. Immediati i provvedimenti del Comandante e del Dirigente che hanno disposto la traduzione del detenuto in altro Penitenziario.
Leonforte. Facevano prostituire la figlia, nove anni alla madre, cinque al padre, condannato l’80enne che ebbe un figlio dalla giovane
Leonforte. Condanna a 9 anni di reclusione per la madre e a 5 anni e mezzo per il padre della ragazzina costretta dai genitori a prostituirsi. Dinanzi al Gup di Caltanissetta Marcello Testaquadra si è aperto il processo con rito abbreviato a carico della coppia di coniugi accusati di avere venduto le prestazioni sessuali della figlia minorenne al loro anziano datore di lavoro, anche lui sotto processo. Il Pm Roberto Condorelli nella sua requisitoria, nella quale ha sottolineato come la dimostrazione della assoluta attendibilità della ragazza vittima della turpe vicenda, ha chiesto che sia ampiamente confermata da un dato lampante. Il test del Dna sul figlio avuto dalla ragazzina ha confermato che è figlio dell’anziano sotto processo. Al termine della requisitoria il Pm ha chiesto 9 anni di reclusione e 16 mila euro di multa per G. S., madre della vittima, a 5 anni e 6 mesi e multa a 10 mila euro per M. D. A., padre della ragazzina e la condanna a 2 anni e la multa a 4 mila euro per P. M., ottantenne che ha reso madre la ragazzina e che pagava i rapporti sessuali che avrebbe periodicamente consumato con lei nella casa dei genitori della vittima. Alle condanne va applicato lo sconto di 1/3 della pena come previsto per il rito abbreviato. Per l’uomo parte dei reati, consumati prima del 2006, sono caduti in prescrizione. Il 14 aprile discuterà l’avvocato Gaetano Giunta, parte civile per la ragazza e poi le difese che sono l’avvocato Giovanni Palermo per P. M. e l’avvocato Antonio Impellizzeri per i coniugi. Se non ci saranno richiesta di replica da parte del Pm potrebbe essere pronunciata la sentenza. I genitori avrebbero costretto la figlia, all’epoca quindicenne ad avere rapporti mercenari con il loro anziano datore di lavoro, che mise incinta la ragazza. La vicenda, frutto del degrado sarebbe andata avanti per diverso tempo, fino a quando nel 2008 la ragazzina diede alla luce un figlio. Nel 2010 i servizi sociali dopo avere ascoltato la ragazza che aveva alla fine indicato il nome del padre, avevano affidato il bambino alla nonna che ancora la esercita malgrado sia sotto processo per avere costretto la figlia a prostituirsi. L’avvocato Giunta ha già avviato le procedure per far riavere alla madre la potestà sul piccolo e contestualmente anche la causa per ottenere il riconoscimento di paternità a carico di P. M., con gli obblighi di mantenimento. Secondo le accuse i coniugi per far fronte alla difficoltà finanziarie fecero prostituire la figlia con il datore di lavoro che circa 2 volte al mese si recava nell’abitazione dei suoi dipendenti dove si sarebbero consumati gli incontri pagati alcune centinaia di euro.
Enna. Pasquasia, cinque tir sequestrati tornano nel sito per essere controllati
A distanza di venti anni dalla sua chiusura continua a non avere tregua la miniera di Pasquasia sottoposta a sequestro dalla Dda di Caltanissetta per il sospetto che i materiali provenienti dalla bonifica dell’area venissero smaltiti illegalmente.
Ieri pomeriggio pochi minuti dopo le 14 cinque tir hanno nuovamente varcato i cancelli della miniera sotto l’occhio vigile dei carabinieri coordinati dal Capitano Michele Cannizzaro.
I tir sono stati sequestrati a Catania e scortati dai carabinieri fino alla miniera di Pasquasia; al loro interno c’era materiale apparentemente non trattato così come previsto nei lavori e dalla legge tanto da indurre al sequestro e al ritorno dentro il sito minerario dei rifiuti incriminati che, nello stesso pomeriggio di ieri, sono stati posti all’interno dei capannoni in attesa di essere sottoposti a maggiori controlli.
Nei giorni scorsi un’operazione analoga aveva portato all’arresto di cinque persone trovate con una grossa quantità di rame e rifiuti ferrosi rubati nel sito ennese ed una somma di denaro trovata all’interno di automezzi provenienti dal casertano.
Ad aggiudicarsi i lavori di bonifica della miniera di Pasquasia, iniziati a giugno del 2013, era stata la ditta “1 Emme soluzioni ambientali srl” per un importo di 20 milioni di euro utili a smaltire 20 mila tonnellate di amianto. Dopo quasi un anno di lavori ecco arrivare come un fulmine l’azione della Dda di Caltanissetta che potrebbe portare alla luce qualcosa di molto ben più grande di quanto si possa pensare.
Intorno alla miniera di Pasquasia si è fatto un gran parlare sin dalla sua chiusura lanciando svariate ipotesi e misteri che ancora oggi è impossibile tradurre con certezza; si è parlato della presenza di scorie radioattive, ma anche al sogno di una riapertura del sito per l’estrazione del magnesio che interessa parecchio l’industria aeronautica. Il sequestro di questi giorni, però, riporta a galla vecchi fantasmi e spetterà alla magistratura fare chiarezza.
Catenanuova. Tre scarcerazioni nell’operazione Go-Kart
Sono tre le scarcerazioni che i giudici del Tribunale del Riesame hanno messo in libertà, dopo l’arresto in seguito all’operazione antidroga “Go-Kart, effettuata dai carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale e della compagnia di Nicosia, che ha portato alla luce la vendita di droga, le estorsioni nei confronti delle imprese commerciali ed edili nei comuni di Catenanuova, Centuripe e Regalbuto. Ad essere scarcerati sono stati i regalbutesi Samuele Cardaci, 30 anni, Massimo Chianetta, 43 anni, Salvatore Calogero Scaglione di 29, tutti difesi dall’avvocato Alessandro Manno. I tre assieme al catenanuovese Sebastiano Russo Fano, sono gli unici ennesi scarcerati dell’operazione “Go-Kart”, diretta dalla Dda di Caltanissetta. Per Chianetta e Scaglione l’accusa nei loro confronti è di associazione finalizzata al traffico di droga e di un pestaggio, a danno di un presunto spacciatore regalbutese, che non voleva riferire quale era il suo mercato della droga a Regalbuto. Cardaci, invece, viene accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, perché, secondo gli investigatori, avrebbe fatto parte di un gruppo della famiglia di Cosa Nostra a Regalbuto. L’avvocato Manno, nei sua tesi difensiva, aveva contestato i “gravi indizi di reità” che erano alla base dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ordinanza emessa dal Gip David Salvucci.
Mafia. Operazione “Old One”, processo a Seminara rinviato per assenza giudice
L’assenza di un giudice a latere del collegio giudicante del tribunale di Caltanissetta ha portato al rinvio del processo antimafia “Old One”, imputati il presunto boss provinciale della famiglia di Cosa Nostra, Salvatore Seminara, imprenditore agricolo di 66 anni di Mirabella Imbaccari e del suo luogotenente, l’aidonese Gaetano Drago, commerciante di 58 anni. L’udienza si sarebbe dovuta svolgere venerdì, invece è stato rinviato per l’assenza del giudice. I due si trovano a piede libero dalla scorsa estate perché scarcerati per decorrenza dei termini a seguito dell’annullamento, da parte dei giudici della Cassazione, della condanna a loro carico per associazione a delinquere di stampo mafioso. Seminara, difeso dagli avvocati Francesco Azzolina e Giuseppe Cianzi, era stato condannato a 10 anni in primo grado, poi pena ridotta a 8 anni in appello ,sentenza questa annullata, mentre Drago, difeso dagli avvocati Egidio La Malfa, Enzo Trantino e Mirko La Martina, era stato condannato a 6 anni. L’annullamento della Cassazione era stato provocato dal fatto che gli avvocati non avrebbero avuto l’opportunità, durante i primi due gradi di giudizio, di ascoltare tutte le intercettazioni registrate, nell’ambito dell’inchiesta. Dopo che le difese ascolteranno le intercettazioni, l’appello dovrà tener conto anche della possibilità per i difensori di verificare i colloqui attribuiti agli imputati. Il processo dovrebbe riprendere in aprile. Rinviata la richiesta di revoca della confisca dei beni di Seminara, per un valore di 10 milioni di euro, mentre la difesa sostiene che il loro valore è di un milione, confisca eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Enna e dalla Dia di Caltanissetta. La revoca viene chiesta dai difensori, Silvano Domina e Giuseppe Scillia, a seguito della presentazione di nuovi documenti che dimostrano come i beni posseduti da Seminara sono frutto del suo lavoro e di quello dei suoi familiari.
Piazza Armerina. Ricorso in Cassazione per l’omicidio di Calogero Abati
Piazza Armerina. Vincenzo Puglisi Cannarozzo ed il padre Gugliemo di Piazza Armerina vengono ritenuti autori di un omicidio volontario in concorso nei confronti di Calogero Abati (nella foto), accoltellato nei pressi del loro negozio, dopo una lite scaturita per il pagamento di 100 euro per un lavoro di imbianchino che stava facendo il giovane Abati nel loro negozio, soldi che gli servivano per andare ad acquistare delle medicine per il figlio. A conclusione delle indagini preliminari, il Pm Anna Granata, ha evidenziato che il padre Gugliemo non ha partecipato all’accoltellamento ma avrebbe avuto un ruolo di “concorso morale“ nell’uccisione del giovane imbianchino armerino. La Procura su questo omicidio ha presentato ricorso presso la Cassazione perché sono stati concessi gli arresti domiciliari a Vincenzo, mentre la Procura vorrebbe l’ordinanza di arresto in carcere. Anche la difesa, con gli avvocati Norberto Leggieri e Flavio Sinistra, ha presentato ricorso, chiedendo di escludere l’omicidio volontario in questa vicenda ed il giovane Vincenzo, negli interrogatori, ha sempre sostenuto che l’omicidio è scaturito a seguito di una lite. I due ricorsi alla Cassazione saranno trattati il prossimo 10 aprile. Sulla morte per accoltellamento del giovane Calogero Abati l’inchiesta, è stato condotta dalla squadra mobile e dagli agenti del commissariato di Piazza Armerina e per loro, sulla base dei riscontri ricevuti, si è trattato di omicidio volontario. Nella lite Abati avrebbe colpito ad una spalla il giovane Puglisi, quindi i due si erano allontanati, poi Abati è tornato, ed hanno continuato a litigare ma questa volta Vincenzo Puglisi era armato di coltello, che il padre aveva nascosto in un vaso vicino al loro negozio per cui all’arrivo di Abati, la lite è ripresa più cruenta, si è lanciato con l’imbianchino e lo ha colpito più volte, ferendolo mortalmente.
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Piazza Armerina. Accoltellamento ventottenne: due fermi “indiziati di delitto” ucciso perché vantava un credito di cento euro – VIDEO
Valguarnera. Rapina alla Banca Monte Paschi di Siena, bottino circa 7 mila euro
Valguarnera. Procedono a ritmo serrato le indagini per risalire agli autori della rapina della Banca Monte Paschi di Siena, avvenuta venerdì scorso alle 13,15 circa, poco prima della chiusura. Gli inquirenti non escludono che già nei prossimi giorni si possa arrivare alla soluzione del caso. Al setaccio degli inquirenti il filmato e le immagini provenienti dal sistema di videosorveglianza posto proprio davanti l’ingresso dell’istituto. Sotto la lente di ingrandimento i momenti salienti della rapina e quelli precedenti e successivi. Questi i fatti. Venerdì, poco prima dell’ora di chiusura antimeridiana, alle 13,15 circa, due individui come normali clienti si introducono dal bussolotto all’interno della banca e dopo aver proferito il classico “questa è una rapina”, si avvicinano fulmineamente dritti alla cassa e si fanno consegnare dal cassiere tutto il contanti ammontante a circa 7 mila euro. Consumata la rapina che sarebbe durata non più di due – tre minuti, i due malviventi escono tranquillamente e si dileguano a piedi tra le viuzze collaterali. Se nelle vicinanze ci siano stati uno o più complici ad attenderli in macchina, è al vaglio degli inquirenti. Secondo la ricostruzione effettuata, i malviventi per consumare la rapina non avrebbero utilizzato alcuna arma, anzi, avrebbero agito con molta calma ed in modo indisturbato, non essendoci per fortuna in quel momento presente alcun cliente. Molta paura invece per i tre dipendenti della banca: il direttore, il cassiere e un altro impiegato. Secondo quanto riferito, i due malviventi, dell’età apparente di 30 anni e dallo spiccato accento siciliano, avrebbero agito uno a viso scoperto e l’altro coperto dal cappuccio del giubbotto. Quello a viso scoperto, avrebbe fatto da apri pista entrando per primo come un normale cliente, una volta all’interno, avrebbe consentito all’altro incappucciato di entrare. Da notare tra l’altro, che in quel momento era assente, perché non in servizio secondo convenzione, la guardia giurata che generalmente nelle ore diurne staziona davanti l’istituto.
Rino Caltagirone
Fermato furgone contromano su A19 nei pressi dell’area di servizio Sacchitello, alla guida rumeno 29enne residente a Leonforte
Nell’ambito delle attività di controllo e pattugliamento ai fini della sicurezza stradale e della prevenzione di comportamenti illeciti sulla autostrada Catania-Palermo, predisposta dal Comando dalla Polizia Stradale della Sezione di Enna, diretta dal Vice Questore Aggiunto Dott. Fabio D’Amore, nella giornata di lunedì 31 marzo, una pattuglia della Polstrada, alle ore 12.00 circa, notava nella carreggiata in direzione Catania, nei pressi dell’Area di Servizio Sacchitello Sud, al km 123, un furgone di colore bianco procedere contromano. La pattuglia prontamente si muoveva all’inseguimento del veicolo, che per poco non impattava contro una Fiat Punto di colore grigio, il cui autista incredulo si era trovato sulla propria corsia di marcia una autovettura procedere contro di lui. Subito dopo, fortunatamente gli Agenti della Polizia Stradale riuscivano a bloccare il veicolo che procedeva contromano, un furgone Fiat Scudo, intimandogli l’alt. Sottoposto a controllo, gli stessi operatori di Polizia notavano che il conducente emanava un forte alito vinoso, mentre interloquiva con gli Agenti in maniera confusa ed a volte poco comprensibile, ripetendo continuamente che chiedeva scusa per non essersi accorto di aver imboccato l’autostrada in senso contrario, nonostante i divieti presenti all’interno dell’Area di Servizio Sacchitello sud, da dove era uscito. Il conducente veniva identificato per P. M., originario della Romania, di 29 anni e attualmente residente a Leonforte, con numerosi precedenti di Polizia. Sull’auto viaggiavano anche due giovani rumeni: un ragazzo, anch’egli con precedenti di polizia ed una giovane donna. Il conducente veniva dapprima sottoposto ad accertamenti preliminari con Alcolblow, con esito positivo ed in seguito con Etilometro, che per due volte rilevava un tasso alcolemico pari a 1,33 gr.l.. Per quanto sopra, veniva contestato al guidatore rumeno l’art. 176/19° C.d.S. per guida contromano, con conseguente fermo amministrativo del veicolo per tre mesi, mentre per la guida in stato d’ebbrezza veniva deferito all’Autorità Giudiziaria, ai sensi dell’art.186/2° C.d.S.. Infine, risultando il conducente neopatentato, gli venivano decurtati 20 punti dalla patente.
Catenanuova. Due ergastoli per il presunte mandante ed il presunto esecutore della lupara bianca di Vito Donzì
Catenanuova. Due condanne all’ergastolo per il presunte mandante ed il presunto esecutore materiale della lupara bianca di Vito Donzì, non luogo a procedere per sopravvenuta prescrizione per il pentito che ha rivelato i retroscena della scomparsa dell’uomo avvenuta nel 1997. Nella tarda mattinata di ieri si è concluso il processo con rito abbreviato, celebrato dinanzi al Gup di Caltanissetta a carico di Salvatore Leonardi, 48 anni, Salvatore Marletta, 55 anni e il pentito Antonino Mavica. Ergastolo per Leonardi, accusato di essere stato il mandante della “lupara bianca”, e per Marletta che sarebbe stato invece l’esecutore materiale. Mavica, ex affiliato di Cosa nostra, è il primo pentito nella “storia”, del mandamento mafioso di Catenanuova che ha cominciato a collaborare poco più di un anno fa. Mavica ha raccontato agli inquirenti degli affari e personaggi della mafia a Catenanuova, permettendo di svelarne i meccanismi, le faide e le lotte di potere. Sulla criminalità di catenanuova hanno fatto luce, in questi ultimi anni, le indagini svolte dai carabinieri del Comando provinciale di Enna, comandanti dal colonnello Baldassare Daidone e coordinate dalla Dda di Caltanissetta. Inchieste che hanno portato alle operazione “Fiumevecchio” e, nel settembre 2013, all’ordinanza di custodia cautelare per Marletta e Leonardi accusati del delitto di Dinzì. È stato Mavica ad autoaccusarsi di essere esecutore materiale del delitto e della brutale distruzione del cadavere di Vito Giuseppe Donzì, scomparso a 26 anni, il 27 gennaio del 1997. Le dichiarazioni di Mavica ed i riscontri probatori raccolti dai carabinieri del comandante provinciale, hanno portato alle ordinanze richieste dai sostituti procuratore della Dda di Caltanissetta, Roberto Condorelli e Giovanni Di Leo, e alla condanna con l’abbreviato, pronunciata ieri. Mavica aveva raccontato di essere stato incaricato di eliminare Donzì e che portò a termine l’incarico insieme a Marletta. Donzì venne eliminato perché era “una testa calda, un cane sciolto, che agiva senza alcun permesso compiendo furti e danneggiamenti contro imprese che già pagavano il pizzo a Leonardi. La sua morte venne decisa quando Donzì reagì con spavalderia agli avvertimenti. Una situazione che metteva in grave difficoltà Leonardi perché ne minava l’autorità di capo. Donzì venne avvicinato con il pretesto di vedere un’auto rubata nascosta in un casolare. Una volta giunti in una zona isolata, a Donzì vennero sparati due colpi alla testa, quindi il corpo venne dato alle fiamme fino a carbonizzarlo e i pochi resti vennero sparsi in un campo nelle campagne di Catenanuova. All’epoca Leonardi e Marletta vennero sospettati del delitto, ma non su possibile eseguire alcun arresto mancando le prove.
Leonforte: 49 persone a giudizio per truffa alle assicurazione, anche un medico ed un avvocato
Leonforte. Sono 49 le persone rinviate a giudizio con l’accusa di truffa ai danni delle compagnie di assicurazione e tra loro ci sono un medico ed un avvocato. Ieri il Gup del tribunale di Enna ha disposto il processo per 49 indagati ed il proscioglimento per altre 24 persone. tra o prosciolti ci sono un medico e 2 avvocati e per uno dei due legali prosciolti è stato lo stesso pm Fabio Scavone a chiedere l’archiviazione. Il processo per i 49 imputati si aprirà il 30 giugno prossimo dinanzi al collegio penale del tribunale di Enna, competente perché è contestata l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla truffa.
L’inchiesta coordinata dal procuratore capo di Nicosia Fabio Scavone aveva inizialmente coinvolto 160 persone iscritte nel registro degli indagati. Le indagini avevano poi portato al proscioglimento in istruttoria di una novantina di persone accusate a vario titolo di avere organizzato falsi incidenti per riscuotere indebitamente i risarcimenti dalle compagnie assicurative, perché i reati contestati erano prescritti. Secondo le accuse gli indagati avrebbero, a vario titolo organizzato falsi incidenti automobilistici, con falsi danni fisici, per truffare le assicurazioni ottenendo risarcimenti per danni sia fisici sia ai mezzi. Secondo quanto emerso dalle indagini che sono state coordinate dai carabinieri della Compagnia di Enna e della stazione di Leonforte il meccanismo avrebbe coinvolto decine di persone che con la complicità dei professionisti e con l’ausilio di falsi testimoni, ottenevano i risarcimenti. Una situazione andata avanti per anni, fino a quando venne intercettata una conversazione nell’ambito di una inchiesta per traffico di stupefacenti, nella quale due giovani parlando di un debito non saldato dicevano che “avrebbero fatto un incidente”. Gli atti vennero trasmessi alla Procura di Nicosia che ha aperto le indagini. L’udienza preliminare si era aperta a gennaio. Gli imputati non hanno optato per riti alternativi, probabilmente contando sul fatto che diverse ipotesi di reato cadranno in prescrizione prima della conclusione del processo di primo grado. Alcune contestazioni riguardano fatti del 2007. Una ventina i falsi incidenti che sono contestati. Le compagnie truffate si sono costitute parte civile.
Cosa Nostra avrebbe un nuovo capo ad Enna, agente della polizia penitenziaria di nome Salvatore
Dalla Dda di Caltanissetta che coordina le inchieste antimafia sull’Ennese arriva solo un “Nessun commento”, ma la notizia che il pentito catanese Paolo Mirabile ha rivelato che il nuovo capo di Cosa nostra per Enna è un agente della polizia penitenziaria di nome Salvatore, è di quelle che fanno parecchio rumore. Il pentito che sta facendo tremare mezza Sicilia è stato molto dettagliato, nell’indicare le circostanze in cui ha incontrato “Salvatore”. Si tratta di un agente della polizia penitenziaria nativo di un Comune dell’area Sud della provincia ennese, che non fa servizio nelle carceri provinciali e che sarebbe stato già sospeso dal servizio. La notizia è stata ripresa da una rivista on line della polizia penitenziaria e da 2 giorni non si parla d’altro.
“A Enna comanda un agente della penitenziaria” ha rivelato Paolo Mirabile, fratello dell’ergastolano Giuseppe, e nipote di Nitto Santapaola, che ha cominciato a collaborare dando il via alla ormai famigerata inchiesta “Iblis”, indicato come responsabile per Cosa nostra etnea del “gruppo di Monte Po”, consigliere ed esecutore per il fratello ergastolano Giuseppe Paolo Mirabile stando alle indiscrezioni circolate in questi ultimi giorni e non smentite dagli inquirenti, tra le sue dichiarazioni sui nuovi assetti di Cosa nostra ha fatto anche una rivelazione clamorosa sulla successione alla guida della “famiglia ennese”, dopo l’arresto di Raffaele Bevilacqua. “E’ un agente della polizia penitenziaria – avrebbe detto Mirabile – e si chiama Salvatore”. Un capo che ha mantenuto i rapporti con i catanesi, come tradizionalmente è stato per i reggenti di Cosa nostra ennese, già a partire da Tano Leonardo che con il clan Santapaola aveva legami grazie ad Umberto Di Fazio, originarie dell’ennese e “pezzo da 90″ del clan, poi caduto in disgrazie e catturato ad Agira con un blitz dei carabinieri in una villetta che pose termine di 4 anni di latitanza. Poalo Mirabile inizia ad interessarsi “degli affari” in provincia di Enna dopo gli arresti dell’operazione Iblis, e quello che racconta, se troverà conferma, è sconvolgente.
“Sono stato informato che a Enna stava nascendo un grande centro commerciale tipo Etnapolis – racconta il pentito – e viene organizzato un appuntamento con il responsabile di Enna”. Paolo Mirabile indica il luogo dove avvenne l’incontro ed elenca chi era presente, poi sottolinea: “C’era questo e i ragazzi di Regalbuto che lo accompagnavano. Questo Salvatore di Enna parlò di questo lavoro e citò una ditta di Barcellona. Disse se noi di Catania la conoscevamo o potevamo arrivarci”. Il pentito sostiene anche che il gruppo di Enna voleva le informazioni prima di compiere un eventuale atto intimidatorio. I catanesi chiesero una settimana di tempio per informarsi. Rivelazioni dirompenti, che potrebbero, se confermate, ridisegnare l’organigramma di Cosa nostra ennese, ma certo il riferimento a “quelli di Regalbuto”, anche alla luce della recente operazione condotta dalla Dda nissena e condotta dai carabinieri, apre scenari inquietanti. I “regalbutesi” sono storicamente legati a Cosa nostra e hanno operato sul fronte del traffico di droga e delle estorsioni. Le prossime settimane diranno se “l’insospettabile capo di Cosa nostra” è il Salvatore di cui parla Mirabile.