Enna. Per Salvatore Roccazzella, 20 anni, titolare di scuola guida di Valguarnera, implicato nell’operazione patenti facili o “guida insicura” è arrivata la liberazione dai domiciliari, dopo l’arresto avvenuto il 23 maggio scorso perchè sono cadute le esigenze cautelari. L’inchiesta della squadra Mobile continua per avere le idee chiare su quanto è avvenuto nell’ambito delle patenti facili, che coinvolge circa sessanta persone a vario titolo. Ci sono accuse di diversi reati a cominciare dall’ associazione a delinquere, concorso in truffa e falso ideologico. Salvatore Roccazzella, qualche ammissione lo ha fatta dicendo di essersi sostituito all’esaminando ed è risaputo che lo stesso era un esperto dei quiz che si fanno nella prova teorica per conseguire la patente, nell’interrogatorio ha ammesso altri due episodi, negando l’accusa di associazione a delinquere, affermando di conoscere solo uno dei co-indagati, Antonino Lambusta. “E’ vero mi sono sostituito a tre esaminandi – ha dichiarato, Roccazzella – non faccio parte di alcuna associazione per delinquere, si tratta di episodi a se stanti che non hanno alcun filo comune ”. Il gip Luisa Maria Bruno ha accolto la richiesta del difensore ed ha revocato gli arresti domiciliari, si dovrà presentare ogni giorno presso la caserma dei carabinieri di Valguarnera. Anche Lambusta, altro titolare di scuola guida, potrebbe essere una figura di primo piano in questa operazione delle patenti facili ha fatto le sue ammissioni ed ha detto che solo in tre sedute di esami teorici per il conseguimento della patente li ha fatti fare a persone diverse degli esaminandi, per consentire il superamento degli esami, sostenendo anche che però le prove pratiche erano fatte dagli interessati diretti. In due casi sarebbe stato Roccazzella a sostituire chi doveva fare di fatto gli esami, mentre nel terzo caso ha impiegato una ragazza, dicendo di voler fare il nome per non penalizzarla. Ha negato con forza anche non c’era collaborazione tra le scuole guida, ognuno operava per i fatti suoi, non c’era associazione per delinquere, e queste irregolarità erano state fatte perché si trovavano in grandi difficoltà finanziarie. Ai domiciliari ci sono gli altri due protagonisti di questa vicenda, anch’essi titolari di scuola guida Giuseppe Muscarà, e Eros Crisafulli.
Enna. Scarcerati alcuni imputati dell’operazione “patenti facili”
Enna. Rapina MPS, il racconto dell’Agente Penitenziario e dei testimoni
Stenta ancora a crederci Tiziana Giuliana, la direttrice del Monte dei Paschi di Siena che ieri ha subito la tentata rapina ad opera di tre giovani sventata grazie all’intervento più che provvidenziale dell’assistente capo della Polizia Penitenziaria, G. A. Erano le 11,30 circa quando all’interno dell’elegante istituto bancario diretto da Tiziana Giuliana faceva irruzione un giovane ben vestito dall’accento palermitano del tutto ignaro che per lui sarebbe stata una giornata piuttosto negativa.
Sì, perchè tra i clienti in attesa c’era anche l’assistente capo della Polizia Penitenziaria che racconta in esclusiva ogni istante della rapina: “Ero in fila ad attendere il mio turno quando è entrato questo ragazzo che si è subito recato da un’operatore e dal cassiere per far aprire le porte in modo da consentire l’accesso ai complici” spiega G. A. che aggiunge: “Non mi sono fatto prendere dal panico, ho alzato la voce e gli ho puntato la pistola d’ordinanza intimandogli di arrendersi e lui non ha fatto resistenza”.
Attimi di paura perchè a quell’ora sia all’interno che all’esterno della banca è un continuo via vai di persone essendo, l’istituto bancario, in pieno centro storico.
Ad assistere alla tentata rapina anche altre persone come Angelo Beccaria di Villarosa presente in banca insieme alla moglie: “Ero seduto in attesa del mio turno ed ho visto entrare questo ragazzo, ben vestito e apparentemente un normale cliente. Quando è entrato ed ha preso il primo impiegato mi sembrava uno scherzo, poi ho subito capito che stava per compiere una rapina quando spingeva uno degli impiegati, io sono rimasto immobile”.
Sotto shock i dipendenti della banca – in tutto dieci – e la direttrice Tiziana Giuliana: “Sono stati momenti di paura perchè io ero nel mio ufficio ed ho appreso che qualcosa non andava dai momenti concitati e non sai mai cosa possa accadere” è il ricordo della direttrice che prosegue: “Il ladro è entrato senza armi perchè il nostro sistema di sorveglianza avrebbe segnalato qualsiasi presenza di armi ed ha spinto il mio collega per far aprire le porte”. In questo modo sarebbe stato più facile far entrare i complici ipotizza la direttrice che “benedice” la presenza dell’agente di polizia penitenziaria: “È riuscito a controllare bene la situazione e per fortuna nessuno si è fatto male”. Mille dubbi hanno mosso la direttrice secondo cui non era possibile prevedere i fatti così come pensare a presenze strane: “Qui è normale che ci sia del movimento, presumibilmente erano già venuti a controllare e per questo sono state richieste le riprese della video sorveglianza”.
A mantenere la calma è stato l’assistente capo della Polizia Penitenziaria: “Fortunatamente è stata importante la collaborazione dei clienti presenti dentro la banca, hanno seguito i miei consigli”. Quando gli viene chiesto se per qualche attimo ha pensato al peggio, l’agente risponde così: “Francamente no, a spingermi è stato il senso del dovere e per fortuna tutto si è risolto per il meglio”. Decisivo nell’indagine anche l’immediato intervento delle forze dell’ordine con gli uomini della Polizia di Stato che sono immediatamente giunti arrestando il primo uomo e pochi minuti dopo i complici.
Gli uomini avevano programmato tutto, dall’entrata in banca alla fuga. Prima di fare irruzione in banca, infatti, avevano posteggiato l’auto, una Bmw grigia, in via Reepentite, una strada secondaria proprio dietro la banca. Si tratta di una stradina stretta e tortuosa che porta in via Fontana Grande alle porte della città e quindi un percorso che poteva far perdere le tracce velocemente, ma il progetto è andato in fumo e per loro sono scattate le manette.
La rapina al MPS di Enna; sviluppi investigativi dopo l’arresto dei tre palermitani
Che qualcosa fosse andato storto nelle prime fasi della rapina al MPS di Enna, sito nella centralissima piazza VI Dicembre, era apparso chiaro sin dal primo intervento: non solo l’intervento sul posto di un agente di Polizia Penitenziaria che ha bloccato, coadiuvato da un impiegato dell’istituto, tenendolo sotto tiro della propria arma d’ordinanza, il ventiquattrenne palermitano Tommaso Nicolicchia, fino all’arrivo degli agenti della Squadra Mobile della Questura; anche la chiusura delle porte di accesso all’istituto – all’interno del quale erano presenti numerosi clienti – ha di fatto impedito che i complici Giuseppe Palma e Damiano Tarantino, anch’essi giovani palermitani rispettivamente di 21 e 20 anni, con precedenti di Polizia, potessero entrare all’interno della banca anche per dare man forte al loro “compagno d’avventura”.
Non solo, l’arrivo dei Poliziotti che di corsa ed a piedi sono giunti dalla locale Questura, oltre che della Volante di zona, ha certamente indotto i due complici ad allontanarsi per fare perdere le proprie tracce.
D’altro canto, non avrebbe avuto senso che il Nicolicchia, anche dopo essere stato immobilizzato all’interno della banca, continuasse ad “intimare” di aprire la bussola; era chiaro che doveva accedere qualcun altro per terminare le operazioni di “prelievo forzato”.
Sulla scorta di quanto emerso, appariva evidente che il ruolo del Nicolicchia, una volta acceduto all’interno della filiale della MPS, fosse proprio quello di dare avvio alle prime fasi della rapina, agevolando, nel contempo, l’apertura della bussola ed il conseguente ingresso dei complici.
Proprio per tale motivo, le pattuglie della Polizia di Stato hanno stretto la zona del centro di Enna alla ricerca dei complici, che effettivamente sono stati rintracciati mentre tentavano di nascondersi nella rientranza di un palazzo, parzialmente occultata dal ponteggio per lavori in corso nella zona.
Non solo; l’ipotesi investigativa è stata pienamente confermata quando, nel pomeriggio, è stato possibile esaminare le immagini del sistema di video sorveglianza della banca, dalle quali si nota distintamente che, dopo l’ingresso del Nicolicchia, avvenuto alle ore 11.33.33, anche il Palma, alle ore 11.33.55, cerca di entrare nell’istituto di credito in questione, seguito alle ore 11.34.09 dal Tarantino.
In relazione agli ultimi due, le riprese evidenziano come il primo calzi un berrettino con visiera ed un paio di occhiali da sole; l’altro un berretto in paglia ed occhiali da sole. Tali copricapo, indossati al momento della rapina, non venivano rinvenuti all’atto dell’arresto; successivamente durante un ulteriore controllo lungo via delle Reepentite, all’altezza del civico 41, sotto una vettura ivi parcata, venivano trovati un paio gli occhiali da sole di colore marrone ed il cappello di paglia di colore beige, utilizzati dal Tarantino Damiano, durante le fasi della tentata rapina. E’ verosimile che i rapinatori, se ne siano disfatti unitamente ad eventuali strumenti atti ad offendere (quali il classico taglierino) da utilizzare durante la fasi della tentata rapina.
Inoltre, sempre dalla visione delle telecamere di sorveglianza, emerge che il Palma riusciva ad accedere all’interno della bussola pur non potendo varcare la seconda porta, mentre il Tarantino, invece, rimaneva all’esterno perché la stessa restava chiusa. Il Palma, accortosi di essere bloccato, fa segnale al complice all’interno della banca di far aprire la porta senza tuttavia riuscirvi. A quel punto, forzando l’ingresso della porta principale, riesce ad uscire dileguandosi con il complice.

NICOLICCHIA Tommaso

TARANTINO Damiano
Pietraperzia. Irrisolto l’omicidio dell’allevatore Di Calogero
A cinque mesi di distanza, non si hanno notizie concrete dell’omicidio dell’allevatore Vincenzo Di Calogero, 41 anni di Pietraperzia, ucciso a colpi di fucile il 29 dicembre assieme al suo cane, in contrada Cerumbelle a pochi chilometri da Pietraperzia. Un omicidio che sembra essere perfetto, eseguito da specialisti, perché mancano indizi di qualsiasi tipo, nonostante il killer o i killer abbiano attraversato circa trecento metri di terreno impervio per ammazzarlo e poi allontanarsi. Di Calogero era partito, quella mattina di sabato, con il suo fedele cane ed il suo gregge, aveva il cellulare, ma i contatti con la famiglia non ci sono stati, ed i parenti non vedendolo tornare hanno denunziato la scomparsa, poi il ritrovamento accanto al suo cane. Tre colpi di fucile calibro dodici, caricato a pallettoni, due a Di Calogero di cui uno alle spalle, il terzo colpo per uccidere il cane. Esecuzione spietata, sull’esecuzione sembra essere di tipo mafioso, ma Vincenzo Di Calogero era incensurato, non aveva mai commesso reati, era apprezzato come allevatore e come uomo, mai un problema con la giustizia, nessun problema con la famiglia. Un personaggio al di sopra di ogni sospetto eppure è stato ucciso in maniera cruenta, senza pietà, la missione dei killer era quella di giustiziarlo. Scoperto l’omicidio i carabinieri del reparto operativo del comando provinciale e della compagnia di Piazza Armerina, diretti dal maggiore Giovanni Palatini e dal capitano Rosario Scotto Di Carlo, hanno iniziato le indagini, coordinate dal Sostituto Procuratore Francesco Rio, ma si sono trovati a scarsi indizi perchè i killer non hanno lasciato alcuna traccia. Si ritiene che siano arrivati a piedi da lontano, hanno aspettato Di Calogero, lo hanno ucciso e poi si sono allontanati pure a piedi perché nelle vicinanze non c’era alcuna traccia di pneumatici. Le indagini a Pietraperzia non hanno portato alcuna novità, giudizi positivi su Di Calogero, nessuna sapeva spiegarsi del perché di questo omicidio. Neanche la traccia di furti di animali, spesso verificatisi nell’ambiente degli allevatori, era percorribile, ma l’esecuzione del delitto sembra essere di matrice mafiosa. A distanza di sei mesi la situazione non ha fatto un passo avanti, e più passano i giorni più scompare la possibilità di trovare qualche indizio che possa portare i carabinieri alla risoluzione del delitto, che continua a rimanere nel mistero più fitto. Se c’è qualcosa di concreto, i carabinieri non si sbottonano, bocche chiuse, l’unica risposta del colonnello Daidone è “stiamo lavorando“.
Giovane tenta rapina a distributore di carburanti a Leonforte
Leonforte. Indossava una pesante felpa, un paio di guanti, un berretto e due sacchetti di plastica (di quelli utilizzati dai supermercati per la spesa) gli avvolgevano le scarpe, un giovanissimo ha tentato di effettuare una rapina alle 12,30 di ieri ad un distributore di benzina alla periferia di Leonforte, ma zona di grande traffico. Appena il giovane si avvicina al gestore gli punta una pistola, arma visibilmente giocattolo. A quel punto il gestore nel trovarsi di fronte uno “sprovveduto” quasi ragazzino lo ha subito invitato ad andare via, minacciandolo di aggredirlo. Subito la fuga del presunto “rapinatore”. I Carabinieri del luogo subito avvertiti hanno ritrovato in un terreno nelle vicinanze del distributore gli indumenti e i due sacchetti che sono stati inviati ai Ris per gli accertamenti. Difficile l’identificazione del giovane dovuta anche alla vistosa felpa e il berretto che copriva gran parte del viso.
La lettera minatori dell’artigiano di Nicosia arrivata anche la Cna di Enna
Enna. Anche la Cna provinciale, che ha sede in via Emilia Romagna, ha ricevuto una lettera minatoria. Nella stessa lettera oltre alle minacce conteneva della polvere (pare un misto di sabbia e cemento) che sarà esaminata dagli agenti della Polizia Scientifica. Infatti una volta ricevuta la lettera ed accortisi del tenore della stessa, oltre che della polvere, il direttore provinciale della Cna, Giuseppe Greca, ha allertato gli uffici della Questura, comunicando di avere ricevuto la lettera piena di minacce da parte di un artigiano disperato per la mancanza di lavoro. Il direttore Giuseppe Greca si è recato in Questura ha presentato una denuncia contro ignoti, ha spiegato che l’ufficio aveva ricevuto la lettera con la distribuzione della posta normale e che una volta accortisi del contenuto della busta, hanno immediatamente allertato la Questura. Nella lettera ci sono le lamentele di un disperato che “non riesce più ad andare avanti, di non poter sostenere la famiglia, che i figli sono alla fame e poi lancia accusa agli abusivi che operano a Nicosia e che tolgono il pane agli artigiani che sono rispettosi della legge e che pagano le tasse. Una lettera che è un misto di disperazione e di rabbia da qui le minacce nei confronti di tutti, minacciando di “fare male alla genere inerme” perché lui è in uno stato di grande depressione, non riesce a trovare una via d’uscita. E’ una storia tragica di una persona che si sente disperato, inerme davanti al dramma della sua famiglia ed allora cerca di manifestare il suo stato, chiamando in causa le istituzioni che dovrebbero fare qualcosa per combattere quell’abusivismo che non gli consente di lavorare con una certa continuità, di effettuare quei controlli per far uscire dall’ombra gli abusivi del settore.
Calascibetta. Processo a pedofilo
Secondo le indagini degli agenti della squadra Mobile, diretti dal vice questore Giovanni Cuciti, che avevano ricevuto una precisa denunzia da parte della madre di un bambino di dieci anni, un disoccupato di Calascibetta , M.T., avrebbe abusato più volte di un bambino di 10 anni, figliastro di suo nipote. Dopo i necessari accertamenti era stata stabilità una perizia psichiatrica per conoscere lo stato mentale del disoccupato ed il perito incaricato dal tribunale, nella sua relazione, ha definito l’imputato parzialmente incapace di intendere e di volere al momento dell’aggressione sessuale al bambino. Il collegio penale, presieduto dal giudice Elisabetta Mazza, dovrà decidere su questa vicenda che vede, ancora una volta, su violenze sessuali nei confronti di minori. E’ stata depositata agli atti la perizia del neuropsichiatra, incaricato dal tribunale, per cui c’è stato un rinvio dell’udienza probabilmente a fine mese. Il medico legale sostiene che M.T. è capace di stare a giudizio, di seguirne il processo, magari di difendersi dalle accuse che lo riguardano mentre l’esperto propende per un individuo che ha una seminfermità mentale. La perizia del neuropsichiatria era stata chiesta sia dalla difesa dell’imputato sia dal pm Francesco Rio. Lo stato mentale dell’imputato viene ritenuto psicologicamente debole, ma bisogna vedere se questo stato psicologico non gli fa capire il fatto di avere abusato sessualmente di un bambino. Ad arrestarlo sono stati gli agenti della sezione reati sessuali della squadra mobile, dopo la denunzia della madre che si era accorta dello stato di tensione e paura che aveva il bambino. L’uomo, al momento del fermo, nel corso dell’interrogatorio aveva confessato, addirittura aveva dichiarato di essere “dispiaciuto” per quello che aveva fatto. La storia era accaduta perché molto spesso M.T. rimaneva in casa con il bambino essendo quasi parenti ed in queste ore di solitudine l’anziano approfittava sessualmente del bambino, dopo averlo portato all’interno di uno sgabuzzino e questa era una situazione che si è ripetuta più volte sino a quando il bambino ha trovato il coraggio di confessarlo. La madre non ci ha pensato due volte ed è andata in Questura a denunziare questa aggressione sessuale per il suo piccolo. Ora è chiaro che la vicenda ruota attorno alle facoltà mentali di M.T.. Bisogna accertare, possibilmente senza ragionale dubbio, che il disoccupato, al momento di queste violenze sessuali, non era in grado di intendere e di volere, tenuto conto che lo stesso è già in stato di interdizione legale da diverso tempo.
Nicosia. Carabinieri scoprono truffa alla Comunità Europea per 146mila € sequestrati beni a imprenditore agricolo
Una operazione condotta dal Nucleo Antifrodi Carabinieri di Salerno coordinata dal Procuratore Capo della Procura della Repubblica di Nicosia Fabio Scavone, è scaturita da un’approfondita analisi della documentazione dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e dei rilievi aero-fotogrammetrici del territorio, che hanno potuto accertare false dichiarazioni aziendali e falsi contratti di affitto di terreni, con i quali l’azienda agricola ha truffato l’AGEA ottenendo illecite erogazioni per oltre 146.000,00 euro. La truffa messa in atto dall’imprenditore agricolo è consistita nell’ampliare in maniera significativa la consistenza aziendale, al fine di acquisire maggiori “titoli P.A.C.”, e quindi maggiori contribuzioni comunitarie, attraverso la registrazione presso l’Agenzia delle Entrate di Nicosia, di falsi contratti di fitto di terreni ubicati nella provincia di Enna, recanti firme false, in particolare quella del proprietario di alcuni fondi rustici, deceduto oltre vent’anni prima.
L’esito dell’attività investigativa stabiliva inequivocabilmente che l’indagato non solo non aveva la disponibilità di detti fondi, ma soprattutto non aveva diritto al pagamento del premio che, pertanto, percepiva illecitamente. Infatti, secondo quanto stabilito dai regolamenti comunitari in vigore, in merito alla c.d. ”Dichiarazione eccessiva intenzionale”, qualora l’agricoltore intenzionalmente dichiari di possedere una superficie aziendale superiore a quella realmente disponibile, l’aiuto previsto per quell’annualità non viene riconosciuto, comportando l’esclusione da ogni beneficio e rendendo quindi nulle le istanze medesime.
L’attività ha visto quindi il deferimento all’Autorità Giudiziaria del titolare dell’azienda per il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e il contestuale provvedimento, disposto dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Nicosia, del sequestro di beni, per l’importo equivalente alla frode accertata, che ha riguardato conti correnti, immobili e terreni accertati nella propria disponibilità nel Comune di Nicosia.
Nicosia. Processo a genitore per presunte molestie alla figlia
Nicosia.La Cassazione non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza con la quale ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa del commerciante nicosiano accusato di violenza sessuale su due bambine, una delle quali sua figlia. La Cassazione aveva invece accolto il ricorso della Procura generale di Caltanissetta che ha impugnato l’assoluzione per un capo di imputazione ed ha disposto l’annullamento della sentenza di secondo grado, con rinvio in appello. Di fatto la condanna a 6 anni per A. B. passa in giudicato, mentre la Corte d’appello dovrà celebrare nuovamente il processo di secondo grado solo per il secondo capo di imputazione, quelle di violenza sessuale su un’altra bambina, figlia della convivente per il quale i giudici nisseni lo avevano assolto. In primo grado A. B. era stato condannato dal tribunale di Nicosia, che lo aveva ritenuto colpevole di entrambe le accuse, a 9 anni di reclusione. La Corte d’appello di Caltanissetta aveva però assolto il commerciante dal capo di imputazione relativo agli abusi sulla figlia della convivente, sulla base di elementi a discolpa prodotti dalla difesa sostenuta dall’avv. Ettore Grippaldi, mentre lo aveva ritenuto colpevole di avere molestato la figlioletta avuta dalla ex moglie. La pena era stata così ridotta a 6 anni. Il secondo processo d’appello dovrà svolgersi solo su questo episodio. L’uomo si è sempre proclamato innocente. L’inchiesta era partita da una segnalazione fatta dagli operatori di una casa di accoglienza, su presunti abusi subiti dalla ragazzina figlia della convivente di A. B. Nel corso delle indagini erano emersi sospetti che anche la figlia dell’imputato avesse subito attenzioni da parte del padre. La sorellina della bambina che fece partire l’inchiesta aveva poi sostenuto in incidente probatorio che il racconto era del tutto inventato.
Confermata condanna a mafiosi ennesi: ottanta anni di galera
La Cassazione ha confermato le condanne a nove imputati, tutti ritenuti di appartenere alla famiglia ennese di Cosa Nostra, per cui ora la condanna diventa definitiva per i nove imputati , che assieme hanno preso circa ottanta anni di galera. Le accuse vanno dall’ associazione mafiosa, tentata estorsione, incendi dolosi e furti di ogni genere, tutte operazioni effettuate a danno di imprenditori, commercianti della provincia di Enna. Per altri tre la sentenza è già passata in giudicato da tempo, in quanto hanno rinunciato a fare ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha accolto in toto le risultanze delle indagini effettuate dalla squadra mobile di Enna e del commissariato di Leonforte, indagini coordinate dal pm Roberto Condorelli della Dda di Caltanissetta, uno dei magistrati più esperti nel campo della mafia. L’operazione ha consentito di aprire il vaso di pandora delle estorsioni continue, della richiesta continua di pizzo ai costruttori, ai commercianti, e qualcuno ha dovuto abbandonare l’attività. Giancarlo Amaradio ha sicuramente preso il posto di Gaetano Leonardo, il suo padrino, detenuto da più di dieci anni. Allungando la detenzione di “Tano ‘u Liuni”, ha colto l’occasione per diventare il capo del gruppo mafioso, è anche questo definitivo, per fare soldi facevano di tutto rubavano cavalli, pecore, fili di rame, escavatori, incendiare automezzi pur di ottenere soldi. Amaradio, è stato condannato a 10 anni e 10 mesi di carcere, in continuazione con una precedente condanna, che ebbe in primo grado. Passano in giudicato anche le altre otto condanne; undici anni e quattro mesi al leonfortese Giuseppe Di Franco, commerciante, uno dei fedeli di Amaradio; sei anni sono stati inflitti all’imprenditore di Valguarnera Domenico Ruisi; condannato a sei anni e quattro mesi Gianni Briga, leonfortese residente ad Agira; nove anni e otto mesi sono stati inflitti all’operaio agirino Giovanni Scaminaci; sei anni, invece, Antonio Scaminaci; condannato a sei anni e dieci mesi Vincenzo D’Agostino di Agira; condannato a otto anni e quattro mesi Davide Tirenni, 31 anni d Leonforte; sei anni a Giuseppe Miracolo, adranita di 28 anni.
Piazza Armerina. Omicidio Avvenia. Assolti con formula piena proprietari bar
Enna. Assolti con formula piena dall’accusa di favoreggiamento Orazio Casano, proprietario di un bar a Piazza Armerina ed il figlio Angelo in merito all’omicidio di Giuseppe Avvenia, avvenuto il 3 ottobre 2008 , non avendo favorito Aldo Consoli, che di quel delitto, era stato uno dei protagonisti. L’episodio di favoreggiamento, addirittura, si sarebbe verificato nel bar di proprietà di padre e figlio. Si sosteneva che all’interno del bar c’era stata una lite tra due clienti, protagonisti dell’omicidio, vale a dire l’ucciso Avvenia ed Aldo Consoli, che di quel delitto era stato un organizzatore. Orazio Casano aveva raccontato al figlio della lite che era avvenuta nel bar ed Angelo aveva rimproverato Avvenia, invece la versione era un’altra, come ha sostenuto la difesa, rappresentata dall’avvocato Antonio Impellizzeri, che la lite nel bar non c’è stata, neanche fuori dal bar, oppure se era avvenuta padre e figlio non avevano assistito Ma non è andata affatto così. La difesa, sostenuta dall’avvocato Antonio Impellizzeri, ha dimostrato che non c’è alcuna prova che la lite fosse avvenuta dentro o fuori dal bar e che qualcuno avesse assistito a questa lite; però il figlio Angelo ha dichiarato di avere rimproverato Avvenia e gli avrebbe detto che nel suo locale doveva stare calmo e di non alzare la voce. Sulla lite tra Avvenia e Consoli aveva parlato una testimone vicina ad Avvenia, ed aveva detto che in effetti uno scontro era avvenuto tra i due, ma fuori dal bar, qualche altro aveva sostenuto che all’interno del bar c’erano state delle grida, come se i due litigassero, ma questo non significa che ci fosse stata una lite, poteva essere uno scambio di opinioni a voce alta e non è detto che Orazio Casano fosse stato presente. Il giudice monocratico Giovanni Milano ha pronunziato la sentenza di assoluzione con formula piena.
Piazza Armerina: Carabinieri arrestano pregiudicato colpevole di estorsione
I Carabinieri della Stazione di Piazza Armerina, dipendenti dalla Compagnia Carabinieri della città dei mosaici, in ottemperanza dell’ordine di esecuzione per l’espiazione della pena detentiva in regime detenzione domiciliare emesso dalla Procura della Repubblica – ufficio esecuzioni penali – del Tribunale di Enna, hanno tratto in arresto nella tarda serata di ieri, Di Simone Salvatore, 39enne nato e residente a Piazza Armerina, coniugato, operatore ecologico, pregiudicato.
Il Di Simone, riconosciuto definitivamente colpevole del reato di estorsione, dovrà scontare, in regime di detenzione domiciliare, è stato condannato alla pena di anni 1, mesi 10 e giorni 21 di reclusione.
Di Simone Salvatore, espletate le formalità di rito, è stato accompagnato presso la propria abitazione in regime di detenzione domiciliare a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.
Nicosia. Discarica Canalotto chiusa dal 2006 è una “bomba ecologica”, diversi indagati
Nicosia. Nessun intervento di messa in sicurezza sulla discarica Canalotto chiusa dal 2006. Sono queste le conclusioni alle quali è giunta l’inchiesta del procuratore capo Fabio Scavone sul sito di raccolta degli Rsu voluto strenuamente dall’ex sindaco Piergiacomo La Via, attivata dall’ex sindaco Pino Castrogiovanni, affidato in custodia giudiziaria, perché nel frattempo sequestrata, prima a Castrogiovanni e poi all’ex sindaco Antonello Catania, infine ritornata nella disponibilità del Comune che ne è proprietario. L’inchiesta sui rischi di inquinamento provocato dal sito era partita a metà dicembre del 2011, quando il capo della procura nicosiana aveva aperto un fascicolo per accertare se durante il periodo di sequestro e successivamente a questo, l’area era stata oggetto di interventi, sicuramente necessari perché il provvedimento era scattato per un anomalo accumulo di percolato. In sostanza la procura ha voluto inizialmente accertare se Canalotto era rimasto nelle condizioni che avevano portato ai sigilli. Adesso il perito avrebbe accertato che dal 2006 ad oggi nulla è stato fatto per impedire che la discarica diventasse quella bomba ecologica che si temeva. L’indagine estremamente complessa perché è risalita indietro nel tempo per quasi 7 anni, è adesso prossima all’avviso di conclusione delle indagini.
Ci sono diversi indagati che a vario titolo avrebbero responsabilità omissive, non avendo provveduto a garantire la salute dei cittadini e l’ambiente, con gli interventi di manutenzione e messa in sicurezza che erano indispensabili. Inoltre dall’inchiesta sarebbe anche emerso che in realtà la discarica era satura già nell’ottobre 2006, quando venne sequestrata e che i rifiuti sarebbero stati conferiti anche oltre la capienza della vasca per la quale era previsto l’ampliamento, dal momento che l’apertura era stata autorizzata dalla prefettura per consentire in primo luogo lo smaltimento della spazzatura accumulata nella vicina discarica provvisoria, anche questa chiusa tempo prima perché sequestrata a causa di una situazione di totale degrado. Malgrado la zona fosse soggetta a movimenti franosi si decise di realizzare la nuova discarica a poche centinaia di metri, su un’area dove si troverebbe anche una sorgente della quale nessuno in sede di sopralluoghi e autorizzazioni tenne conto. L’inchiesta della procura riguarda comunque solo l’aspetto delle responsabilità per i mancati interventi di messa in sicurezza. Gli indagati avrebbero omesso di disporre lavori indispensabili.
Accertamenti su inquinamento di un caseificio di Aidone
Dopo il sequestro del caseificio di contrada Vanelle di Aidone, perché responsabile di inquinamento ambientale, si stanno facendo degli accertamento non solo per verificare il grado di inquinamento del territorio, ma anche se i prodotti caseari sono privi di alterazioni e se le condizioni igienico-sanitari sono a norma. Del caseificio si era interessata la Procura della Repubblica perché attraverso la relazioni degli agenti del Corpo Forestale si era accertato che il caseificio era responsabile di inquinamento ambientale, in quanto nella lavorazione dei loro prodotti, il siero veniva buttato nella fognatura. Gli agenti di Pg del Corpo Forestale hanno agito nei confronti del caseificio aidonese, anche se i titolari si erano giustificati dicendo che il loro siero veniva dato alle aziende agricole del territorio come sottoprodotto alimentare. La sezione di pg del Corpo Forestale e i carabinieri del Nas di Catania, con la collaborazione dei veterinari dell’azienda sanitaria provinciale avevano provveduto, la scorsa settimana, a sequestrare il caseificio, che aveva il laboratorio in contrada Vanelle. Convalidato già il sequestro della struttura gli investigatori hanno messo i sigilli anche a mille chili di prodotti caseari, che si trovavano all’interno di uno dei depositi, ma erano prodotti scaduti tanto è vero che sui cartoni c’era scritto “prodotti non in vendita”; solo che per i Nas di Catania quei prodotti erano conservarti male e potevano diventare pericolosi per la salute. Gli agenti del Corpo Forestale avevano aperto l’inchiesta perché insospettiti per la presenza di grandi quantità di siero che veniva smaltito ogni giorno. A seguito di questa indagine gli esperi del Corpo Forestale hanno effettuato dei prelievi di campioni dal pozzetto del caseificio, campioni che sono stati consegnati agli esperti dell’Arpa provinciale che hanno confermato i sospetti di chi aveva effettuato le indagini. Il siero, praticamente, veniva buttato nella fognatura, ma i titolari del caseificio hanno cercato di giustificarsi dicendo che nella fognatura arrivavano derivati del latte, residui che cadevano a terra e poi con il lavaggio del laboratori finivano nella fognatura. Il siero è vietato dalla legge, per cui nei confronti dei titolari del caseificio l’accusa di avere commesso un reato ambientale pericoloso per l’agricoltura, può essere usato solo come sottoprodotto alimentare per gli animali. Gli investigatori hanno voluto approfondire gli accertamenti, mentre l’indagine, iniziata la scorsa settimana, è proseguita nel corso di questa settimana, coordinata dal Sostituto procuratore Paola D’Ambrosio e dal Procuratore capo Calogero Ferrotti. Le indagini proseguono per accertare le irregolarità commesse, e l’attività del caseificio è stata sospesa.
Calascibetta. In fiamme gli scooter di un poliziotto e del figlio, atto intimidatorio?
Calascibetta. Una bravata portata a compimento da qualche balordo, oppure un vero atto intimidatorio? Presto per poterlo dire. Una cosa però è certa: le fiamme che hanno distrutto un motociclo Yamaha 250 e un ciclomotore MBK 50, entrambi parcheggiati in piazza Soccorso, luogo panoramico di Calascibetta, sono di origine dolosa. Ne sono convinti anche i Carabinieri della locale stazione intervenuti sul posto nella notte di venerdì.
A supporto della tesi ci sarebbe un’indiscrezione molto attendibile. I due scooter, uno dei quali di proprietà di un agente di polizia, l’altro del figlio, inizialmente parcheggiati a breve distanza l’uno dall’altro, è stato costatato che, nonostante avessero il bloccasterzo inserito, sarebbero stati prima accostati tra di loro e poi dati alle fiamme. Un’azione dunque mirata e programmata.
Il maresciallo Gaetano Silvano intanto tiene a precisare: «Escludo che il gesto possa essere collegato sia al fattore politico (a Calascibetta oggi e domani si vota per le amministrative) sia a quello relativo al lavoro che svolge il proprietario del motociclo Yamaha». Forse allora qualche affermazione sconsiderata pronunciata in ambienti diversi da quelli citati dal maresciallo? Qualunque possa essere stata la causa è un’azione che va certamente condannata. Senza se e senza ma.
Intanto le indagini – fanno sapere i carabinieri – si svolgono a 360 gradi. I segni dell’accaduto si possono scorgere anche dalla piazza Umberto I, “cuore” del paese. Sono le tracce lasciate dalle fiamme che hanno danneggiato sia una parte del prospetto dell’abitazione del proprietario del motociclo sia un angolo dell’edificio vicino. L’ultima volta che a Calascibetta si verificò un gesto simile fu nell’ottobre del 2012. Allora in piazza San Pietro venne data alle fiamme una Mercedes. Un incendio di natura dolosa che investì anche una seconda vettura. E dopo nove mesi, nel comune xibetano, si ritorna purtroppo a parlare di microcriminalità.
Francesco Librizzi
Mancata raccolta rifiuti, Procura Nicosia apre inchiesta per responsabilità emergenza sanitaria
Nicosia. Sarà un’inchiesta della Procura di Nicosia ad accertare se vi sono ipotesi penalmente perseguibili nelle ultime vicende tra Ato rifiuti e Comune. Il procuratore capo Fabio Scavone ha aperto un fascicolo, un atto dovuto dal momento che tutto il “carteggio” dell’Ato indirizzato al Comune è stato inviato per conoscenza alla procura. In particolare l’attenzione della magistratura è incentrata a verificare eventuali responsabilità per l’emergenza sanitaria, accertata dall’ufficiale sanitario, che il 3 giugno ha verificato che gli Rsu non venivano raccolti da 4 giorni. Il 29 maggio con una nota giunta al Comune il 31, l’Ato ha comunicato di non essere in grado di garantire il servizio senza il versamento di 1 milione e 300 mila euro e che in caso di mancato pagamento avrebbe sospeso il servizio dal primo giugno. Il sindaco Sergio Malfitano, a seguito della nota aveva deliberato la presa in carico di tutto il servizio, ma 24 ore dopo l’Ato aveva comunicato che avrebbe continuato a garantirlo anche se solo con i propri operai e il giorno successivo aveva comunicato di prendere nuovamente in comando i 10 operai comunali, “scaricati” 3 giorni prima.
L’inchiesta punta a chiarire le eventuali responsabilità per l’emergenza sanitaria anche alla luce del fatto che in poche ore sia cambiato tutto e che l’Ato dalla mancata raccolta e dalla comunicazione al Comune che non avrebbe più svolto il servizio abbia ripreso a svolgerlo. Sembra che la magistratura punti ad accertare se ricorrevano i gravi motivi di forza maggiore che hanno determinato l’interruzione del servizio e come questi, se realmente sussistenti, sono stati poi superati. Intanto si attende l’udienza del 20 giugno prossimo sul decreto ingiuntivo ottenuto dal Comune contro l’Ato e i comuni ennesi in veste di soci. Il giudice dovrà decidere se dichiarare esecutivo il pignoramento dopo avere esaminato la situazione alla luce dei rapporti di dare e avere tra Ato e Comune. Il sindaco Malfitano si è detto soddisfatto di questa decisione perché tutta la documentazione contabile verrà esaminata da un giudice. Il 22 dicembre 2011, circa di 18 mesi fa, la Regione ha disposto il pagamento in favore dell’Ato Ennaeuno di una somma pari al 15% dei debiti certificati dai liquidatori al 31 luglio 2011 che al 31 luglio 2011 risultava poco meno di 63 milioni di euro. all’Ato Ennaeuno venere quindi assegnati 9 milioni e 440 mila euro. La regione, tramite l’ufficio del commissario delegato del Dipartimento acqua e rifiuti, aveva concesso la somma come anticipazione per conto dei Comuni soci per fa fronte alla crisi di liquidità dell’Ato Ennaeuno e di altri Ato siciliani. L’Ato di Enna, sui 15 che in tutta la Sicilia hanno ottenuto le somme era a quella data, secondo solo all’Ato Simeto di Catania, che ebbe 10 milioni di euro. Facendo un rapporto con la popolazione residente di ciascun Ato, quello di Enna a luglio 2011 era il più indebitato di tutta la Sicilia.
Barrafranca: Carabinieri arrestano giovane per detenzione e spaccio di stupefacenti
Nella tarda serata di ieri tratto in arresto un giovane, També Alessandro, 18enne nato a Caltanissetta ma residente a Barrafranca, celibe, disoccupato, dai militari della Stazione di Barrafranca.
Nell’ambito di servizi coordinati predisposti dalla Compagnia di Piazza Armerina, una pattuglia della Stazione Carabinieri di Barrafranca in collaborazione con i colleghi dell’Aliquota Radiomobile, effettuando un posto di controllo lungo la SS 560 e precisamente all’altezza del bivio “Luogo” del comune di Pietraperzia ha notato sopraggiungere un’autovettura Lancia Y di colore grigio chiaro che seguiva la direttrice di marcia Capodarso – Barrafranca. I militari hanno intimato l’alt all’auto per procedere al controllo della stessa e dei suoi occupanti. Il mezzo era condotto da També Alessandro ma intestato alla di lui madre, sul sedile anteriore del mezzo, lato passeggero, era seduto un 20enne di Barrafranca mentre sul divano posteriore era seduto un 29enne anch’egli originario dello stesso paese dell’ennese. Due dei tre soggetti avevano precedenti di polizia.
I Carabinieri, insospettiti dal fatto che all’interno dell’autovettura era presente un forte odore di hashish, hanno procedevano ad effettuare una perquisizione veicolare dell’auto e personale nei confronti degli occupanti.
Dall’accurata perquisizione della vettura venivano rinvenuti, celati nella colonna centrale del cruscotto, che divide il lato guida dal lato passeggero, ed in particolare sotto un pannello, 10 panetti di sostanza stupefacente del tipo hascish del peso di 100 grammi cadauno per un peso complessivo di circa 1 (uno) chilogrammo. La droga avrebbe fruttato sul mercato dello spaccio un ricavo di circa cinquemila Euro.
I Carabinieri hanno quindi proceduto al sequestro di quanto rinvenuto ed hanno accompagnato i tre giovani barresi nei locali della Caserma di Barrafranca dove, il Tambè Alessandro veniva dichiarato in stato d’arresto e gli altri due soggetti D. M. P. e N. G. venivano deferiti in stato di libertà per concorso di persone nel reato.
Nella disponibilità del Tambè e degli altri due occupanti si trovavano anche 745 euro in denaro contante suddiviso in banconote di diverso taglio, anch’esse sequestrate.
La droga, posto sotto sequestro penale ed a disposizione della competente Autorità Giudiziaria, sarà inviata nei prossimi giorni al laboratorio analisi sostanze stupefacenti del Comando provinciale dei Carabinieri di Enna per gli accertamenti del caso.
L’arrestato, espletate le formalità di rito, è stato accompagnato presso la casa circondariale di Enna a disposizione dell’Autorità Giudiziaria competente.
All’arresto del Tambè, tra i Comuni di Piazza Armerina e Barrafranca, si aggiungono altri risultati operativi conseguiti nel weekend appena trascorso e cioè nr. 23 perquisizione eseguite, nr. 2 denunce in stato di libertà per furto aggravato, nr. 2 denunce in stato di libertà per violazione di domicilio, nr. 2 denunce in stato di libertà per guida in stato d’ebbrezza, nr. 1 denuncia in stato di libertà per il reato di truffa, nr. 1 denuncia in stato di libertà per guida senza patente; sono state inoltre ritirate per violazioni varie 8 patenti di guida ad altrettanti utenti della strada.
Forniture Asp Agrigento: arrestata imprenditrice di Nicosia
Due imprenditori sono stati arrestati nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Agrigento su forniture all’Azienda sanitaria provinciale, in particolare di arredamenti per gli ambulatori e di gas medicale, per un importo di oltre 11 milioni di euro e per cinque anni. Il Gip Alberto Davico, su richiesta del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e del sostituto procuratore Giacomo Forte, ha disposto gli arresti domiciliari per Anna Licitra, 57 anni, di Nicosia, e Corrado Di Salvo, 49 anni, di Agrigento.
Dieci indagati – Il Gip ha inoltre disposto il divieto di svolgere attività imprenditoriale per Giuseppe Mario Peterlini, 50 anni, di Monza e Spartaco Polimadei, 50 anni di Gallarate (Varese), il primo amministratore delegato della Sapio Life S.r.l., il secondo responsabile per l’area Sud Italia e Sicilia della stessa ditta. Nell’inchiesta sono indagate complessivamente dieci persone, tra cui l’ex direttore generale Salvatore Olivieri, catanese di 72 anni. L’indagine è stata condotta dai carabinieri del Comando per la Tutela della Salute Nas di Palermo, guidati dal capitano Mansueto Antonello Cosentino.
corrieredelmezzogiorno.corriere.it
Enna. Rapina Monte Paschi: Prefetto si congratula con assistente Capo Polizia Penitenziaria
Enna. I brillanti risultati conseguiti, le grandi doti di competenza professionale in più occasioni dimostrate e l’esemplare capacità di collaborare in piena sinergia: questi i profili di eccellenza delle locali forze di polizia che il Prefetto Clara Minerva ha voluto sottolineare con parole di apprezzamento nel corso di un incontro tenutosi a Palazzo del Governo, alla presenza del Questore, del Comandante provinciale dei Carabinieri, del Direttore della Casa Circondariale di Enna, accompagnati da una rappresentanza di uomini della Polizia di Stato, dell’Arma e della Polizia Penitenziaria.
All’indomani del tentativo di rapina condotto ai danni del Monte dei Paschi di Siena, sventato dall’azione tempestiva delle forze dell’ordine, il Prefetto ha voluto congratularsi personalmente con l’Assistente Capo della Polizia Penitenziaria intervenuto nell’immediatezza all’interno dell’istituto di credito e con gli agenti della Polizia di Stato, guidati dal dirigente Giovanni Cuciti, che con perizia e prontezza sono riusciti a bloccare i rapinatori traendoli in arresto.
Un risultato importante a tutela del territorio nel quadro dell’intensa ed efficace azione di contrasto alla criminalità condotta in questa provincia indistintamente da tutte le forze dell’ordine, dalla Polizia di Stato, dalla Guardia di Finanza, dai Carabinieri.
Il Prefetto ha voluto nella circostanza ricordare – tra l’altro – la brillante attività investigativa dell’Arma dei Carabinieri, condotta alcuni mesi fa, che ha portato all’individuazione del presunto responsabile dell’omicidio di una giovane donna rumena, scomparsa dal comune di Leonforte.
Solo due esempi tra tanti – ha detto il Prefetto – che rivelano la qualificata professionalità, la costante dedizione e il profondo senso del dovere che connotano il silenzioso ma indispensabile impegno speso da tutte le forze di polizia a garanzia della sicurezza, della tranquillità e della fiducia di tutti i cittadini della nostra comunità.
A19. Precipita dal viadotto Malpasso furgone
Nell’ambito dei controlli predisposti sull’autostrada A/19 Palermo-Catania dalla Sezione della Polizia Stradale di Enna, diretta dal Vice Questore Aggiunto Fabio D’Amore, la Polizia Stradale di Enna, alle ore 09.00 circa odierne, interveniva a seguito di un incidente autonomo avvenuto sull’autostrada A/19 al km. 107+600, nel territorio della Provincia di Enna. Sul viadotto Malpasso, lungo la carreggiata Catania-Palermo, il conducente di un furgone P. B. di anni 52, di Catania, che trasportava batterie esauste per conto di una ditta specializzata di Catania, mentre transitava sul suddetto viadotto, per cause in corso di accertamento dagli uomini della Polstrada, perdeva il controllo del veicolo e impattava contro il guard-rail di sinistra, distruggendolo per una lunghezza di 15 metri circa. A seguito dell’urto, il mezzo ha sfondato il guard-rail, precipitando nel vuoto per ben 15 metri. La pattuglia della Polstrada intervenuta immediatamente sul posto chiedeva l’intervento del 118, che inviava l’elisoccorso, e dei vigili del fuoco, nonché dell’ANAS. Il conducente trasportato con codice rosso all’ospedale S. Elia di Caltanissetta, è attualmente sottoposto ad accertamenti.