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Enna. Particolari su altri provvedimenti d’arresto operati nel corso dell’operazione Go Kart

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140220 go kartNuovi e rilevanti elementi sono emersi durante le fasi della cattura di alcuni degli indagati dell’operazione GO KART condotta dagli uomini del Comando Provinciale Carabinieri di Enna.
Com’è ormai noto nel corso della mattinata del 18.02.2014 sono stati eseguiti 49 ordini di custodia cautelare in carcere emessi, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, dal Dott. David Salvucci della Sezione GIP del Tribunale di Caltanissetta. Presso ciascuna residenza dei soggetti raggiunti dall’Ordine di Carcerazione è stata chiaramente eseguita anche un’accurata perquisizione domiciliare.
In diverse abitazioni sono state rinvenute piccoli quantitativi di sostanza stupefacente di tipo marijuana, ma in alcune i rinvenimenti sono stati molto più interessanti. Ci si riferisce, in particolare, all’arresto in flagranza di reato di concorso in detenzione ai fini di spaccio di 68 (sessantotto) dosi di sostanza stupefacente di tipo cocaina nonché di una pistola cal. 22 operato nei confronti di PRESTIFILIPPO CIRIMBOLO Michael e di LONGO Salvatore e SCALIA Mirko .
Anche le squadre che hanno operato negli altri comuni della provincia etnea, al comando del Capitano Daniele PUPPIN, comandante della Compagnia Carabinieri di Enna, con la collaborazione di personale della Compagnia di Paternò (CT), sono stati egualmente abili essendo pervenuti a due distinti arresti.
In particolare a seguito dell’intervento in Santa Maria di Licodia (CT) presso l’abitazione dello SCALISI Nicolò le operazioni sono state proseguite nelle campagne di Centuripe presso delle case rurali di proprietà e gestite dal predetto SCALISI. In una di queste sono stati rinvenuti due fucili e due carabine con marchi e matricole abrase, tra le quali una carabina cal. 22 munita di ottica di precisione. Accanto a tale armi sono state rinvenute circa 1.500 cartucce di vario calibro, sia per fucile che per pistola, comprese cartucce a pallettoni, cartucce a palla unica e anche 25 cartucce per pistola cal. 7,65, (tipo di arma non rinvenuta) nonché numerosi barattoli contenenti pallini e polvere da sparo occorrenti per l’autonoma ricarica. E’ chiaro che ci si è trovati di fronte a un vero e proprio mini arsenale dove lo SCALISI (ed anche altri) potevano all’occorrenza attingere “per qualsiasi esigenza”.
Oltre a quanto sopra, sono stati rinvenuti e sequestrati presso l’abitazione dello SCALISI tre involucri ( buste e scatole) contenenti complessivamente 130 grammi di Marijuana ed una busta contenente 415 grammi di semi di canapa indica. Si tratta di diverse migliaia di semi verosimilmente pronti per essere utilizzati in future coltivazioni.
140220 go kart (2)A tal riguardo si aggiunge che indagini hanno infatti dimostrato che esistono canali di approvvigionamento di marijuana tipo “SKUNK” di importazione e paralleli canali di approvvigionamento di marijuana coltivata anche nelle campagne delle nostre province che nelle intercettazioni ambientali degli arrestati veniva indicata testualmente come “erba di casa” , avente un principio attivo di THC minore rispetto alla prima;
Nel corso della perquisizione domiciliare effettuata da un’ altra squadra di militari che si è recata in Santa Maria di Licodia (CT) presso l’abitazione di MAZZAGLIA Giuseppe Carmelo, cl. 1960, pluripregiudicato, è stata rinvenuta, occultata sotto il cassetto del comodino della camera da letto, una pistola marca Beretta cal. 6,35 con matricola abrasa con caricatore innestato contenente otto colpi, un altro caricatore immediatamente disponibile, contenente altri 8 colpi ed altra busta contenete ulteriori sette colpi collocata nelle vicinanze. In pratica il MAZZAGLIA Giuseppe Carmelo aveva la disponibilità, accanto al letto dove dormiva, di una pistola clandestina con 23 colpi immediatamente pronta all’uso.
Si tratta pertanto di soggetti tutti trovati in possesso di armi e munizioni, evidentemente inseriti in contesti di criminalità organizzata dove il possesso dell’arma clandestina è indicativa di reale gravissima pericolosità sociale in quanto tutte le armi, ed in particolare le pistole, erano pronte per essere potenzialmente utilizzabili anche nei confronti di altre persone.
I soggetti di cui sopra sono stati, pertanto, tratti in arresto, oltre che per le motivazioni per ciascuno contestate l’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere emessa nei loro confronti dal Dott. SALVUCCI David del Tribunale di Caltanissetta, rispettivamente anche per lo SCALISI Nicolò per il reato di detenzione illegale di più fucili con matricola abrasa, munizionamento di vario calibro, ricettazione di armi, nonché di detenzione illegale ai fini di spaccio di sostanza stupefacente di tipo marijuana, e per il MAZZAGLIA Giuseppe Carmelo di detenzione illegale di arma comune da sparo con matricola abrasa, ricettazione della stessa e detenzione illegale di munizionamento.
Tutte le armi e le munizioni in sequestro verranno inviate alla Sezione Balistica del RIS Carabinieri di Messina al fine di tentare l’individuazione delle matricole e quindi dei rispettivi legittimi proprietari, mentre la sostanza stupefacente sequestrata verrà analizzata presso il laboratorio analisi sostanze stupefacenti di questo Comando provinciale al fine di stabilirne il grado di tossicità.


news collegate:

Enna. Operazione “Go Kart” 49 arresti + 2 per traffico stupefacenti, estorsioni, rapine, detenzione di armi a Catenanuova, Regalbuto e Centuripe

Enna. Ulteriori tre provvedimenti d’arresto scaturiti nel corso dell’operazione “go kart”

Il Kartdromo di Catenanuova punto di riferimento per lo spaccio di sostanze stupefacenti


“Sole Nero” processo stralcio per Maurizio Nicosia, pregiudicato di Villarosa

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processoMaurizio Nicosia, pregiudicato di Villarosa da diversi mesi si trova sotto processo con l’accusa di associazione mafiosa e usura. Sarebbe uno stralcio del processo “Sole Nero”, dove sono implicati diversi personaggi in una vicenda di prestiti di soldi, interessi ed altro. Nel corso della “lettura fonica” delle sue dichiarazioni Maurizio Nicosia manifesta il timore che un suo conoscente potesse passare dall’altra parte e diventare collaboratore di giustizia, per cui era preoccupato in quanto il suo amico avrebbe potuto raccontare qualche sua attività particolarmente pericolosa. Il perito ha dichiarato che le parole sul pentimento dell’amico sono state pronunciate, ma Maurizio Nicosia continua a negare. Con l’esame del perito, si è concluso il supplemento della fase istruttoria che era stato chiesto dal difensore di Nicosia, il penalista Antonio Impellizzeri. Il prossimo 5 marzo ci sarà la requisitoria del pm Roberto Condorelli, uno dei maggiori esperi nel campo della mafia di Enna e Caltanissetta, quindi dovrebbe parlare l’avvocato di parte civile, per conto di una presunta vittima di usura e l’Associazione antiusura di Catania, presieduta da Gabriella Guerini. Il 27 marzo la parola spetterà all’avvocato Impellizzeri, subito dopo si potrebbe arrivare alla sentenza. Nella penultima udienza ha deposto la presunta vittima di usura, si tratta di un giovane imprenditore agricolo di Bronte, che ha descritto la sua situazione finanziaria, ed il disperato appello per avere in prestito dei soldi in modo da poter salvare le sue proprietà, l’unico modo per rientrare dai debiti era chiedere in prestito altro denaro ed allo stesso servivano con procedure d’urgenza 90 mila euro, ma Maurizio Nicosia lo invitava a rientrare dai debiti con qualsiasi mezzo. Maurizio Nicosia ha sempre ammesso di avere concesso un prestito tenuto conto che l’imprenditore di Bronte era venuto accompagnato da amici, ha anche confessato di avere chiesto degli interessi, ma ha smentito di fatto minacce o pressioni per rientrare dei soldi prestati.

Enna. Soltanto per 11 detenuti applicato il decreto “svuota carceri”

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svuota carceriCon il via libera del Senato è diventata legge il decreto “svuota carceri” sulla quale il Parlamento si è duramente confrontato. Dai primi dati pare che la popolazione carceraria potrebbe scendere sotto le 60 mila unità. Ma qual è la situazione alla Casa circondariale di Enna? Negli anni il centro di reclusione ha sofferto i numeri alti gestendoli comunque senza particolari problemi.
L’attuazione della legge non porterà ad Enna grandi cambiamenti perché da una prima analisi è emerso che sono undici i detenuti che rientrano tra i beneficiari. Di questi cinque sono i detenuti a cui è già stata concessa la scarcerazione anticipata, mentre sei sono quelli che usciranno prima della fine della pena.
A fornire i dati il direttore della Casa circondariale ennese, Letizia Bellelli, che fa un’analisi delle conseguenze dell’applicazione della legge e della situazione del carcere ennese.
Questi movimenti insieme all’apertura del nuovo padiglione mette il carcere ennese nelle condizioni di non soffrire un eccessivo sovraffollamento.
Il nuovo padiglione, infatti, è nei limiti della capienza regolamentare, mentre nel padiglione vecchio si registra un po’ di sovraffollamento.
«Quando tutto sarà a regime non ci sarà sovraffollamento nel carcere di Enna» dice la direttrice Bellelli che giornalmente è impegnata insieme agli agenti di polizia penitenziaria nella gestione del carcere ennese.
Le principali novità della legge approvata prevede pene alternative tramite l’affidamento ai servizi sociali, l’utilizzo del braccialetto elettronico, sconto di pena (fino al 24 dicembre 2015) che sale a 75 giorni per ogni semestre (anziché i precedenti 45) ma solo se in presenza di condizioni meritorie.

Enna. Troppi rinvii nei procedimenti penali “bacchettati” gli avvocati

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cardinale salvatoreTroppi rinvii di cause piuttosto che procedimenti trattati e definiti, e il presidente della Corte d’Appello di Caltanissetta Salvatore Cardinale “bacchetta” gli avvocati e stabilisce direttive che puntano a limitare il problema. Il presidente Cardinale ha inviato una nota ai presidenti degli ordini degli avvocati di Caltanissetta, Enna, Gela e Nicosia, e a tutti i rappresentanti degli organismi dell’avvocatura, che è stata inviata per conoscenza anche alla Procura generale. Il primo presidente Cardinale sottolinea che dall’analisi effettuata sulle udienze penali, emerge un alto numero di rinvii che le cause iscritte subiscono continuamente.
L’analisi dei rinvii ha permesso di accertare che, a fronte di pochi casi che scaturiscono da vizi di notifica dei decreti di citazione, questi scaturiscono dalle richieste dei difensori che le avanzano a pochi giorni dall’udienza o, addirittura, lo stesso giorno in cui questa deve essere celebrata. «Tale fenomeno si è accentuato nel mese di gennaio – scrive il presidente Cardinale – nel quale il numero dei rinvii, benevolmente concessi dai magistrati, ha superato addirittura quello dei processi definiti. E’ evidente che trattasi di un andazzo che contrasta con qualsiasi processo di accelerazione dei tempi della giustizia e di celere definizione dei processi pendenti che, inoltre, collide con i principi di buona amministrazione e di economicità cui da tempo anche l’Amministrazione della giustizia – si legge ancora – è tenuta ad uniformarsi. Comunico che nell’evidente intento di bilanciare le esigenze della difesa con quelle di affermazione del diritto e della giustizia sono stati adottati da parte di questa presidenza, sentiti i presidenti di Sezione interessati, le seguenti direttive che hanno efficacia immediata».
Le direttive prevedono la priorità ai processi con imputati detenuti, a quelli di maggiore allarme sociale, a quelli in cui sono presenti parti civili ed ai processi con reati prossimi alla prescrizione, oltre a quelli che prevedono misure di prevenzione e procedimenti per ingiusta detenzione. Le direttive del presidente Cardinale stabilisco un vaglio “rigoroso”delle richieste di rinvio e che non verranno accolte quelle che non risultano tempestivamente presentate rispetto all’insorgere dell’impedimento e quelle che non specificano le ragioni per le quali non si procede alla nomina di un sostituto del difensore che richiede il rinvio. In ogni caso saranno vagliati anche gli impedimenti connessi a concomitanti impegni professionali.
Il presidente della Corte d’appello inoltre sottolinea che verranno rigettate le istanze di rinvio che saranno presentate nei giudizi camerali che si celebrano per impugnazioni di sentenze con rito abbreviato o nei procedimenti di esecuzione. La nota del presidente Cardinale si chiude sottolineando che le direttive sono state comunicate agli organismi dell’avvocatura ed agli ordini forensi nel rispetto del clima di collaborazione e «nella convinzione che – scrive Cardinale – le scelte fatte ormai improcrastinabili, saranno comprese e condivise».

Tribunale Ecclesiastico regionale, Mons. Murgano rende noti i numeri delle cause nelle Diocesi

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don Enzo Murgano“Nel quotidiano servizio in Tribunale assistiamo con dolore al dramma dello sgretolarsi di famiglie che spesso crollano proprio per la fragilità dei legami”. È iniziata così la relazione che il Presidente del tribunale Ecclesiastico regionale Siculo, l’ennese Mons. Vincenzo Murgano, ha tenuto in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. Mons. Murgano ha parlato di difficoltà a concepire il matrimonio come legame indissolubile e impegno di fedeltà “per sempre” ed ha enunciato l’attività del Tribunale nel 2013 quando sono state introdotte 296 cause che si sono aggiunte alle 837 pendenti al 1° gennaio 2013 e pertanto ne sono state trattate 1133. Nello stesso anno si sono concluse con sentenza 309 cause – di cui 241 con sentenza affermativa e 68 con sentenza negativa – 18 sono state archiviate e 8 sono state dichiarate perente, per un totale di 335 cause concluse. A queste si aggiungono 26 cause per le quali il Collegio ha ritenuto necessario un dilata, per l’acquisizione di nuove prove.
Interessanti i dati sulle due diocesi che abbracciano il territorio ennese: Piazza Armerina e Nicosia.
Nella diocesi armerina le cause residue precedenti al 2013 erano 28, mentre 17 sono quelle inserite nel 2013.
A Nicosia, invece, erano tre le cause che giungevano dal 2012, mentre lo scorso anno ne è stata avviata solo una.
Le cause concluse con sentenza nel 2013 per la Diocesi di Piazza Armerina sono state nove di cui sei hanno avuto esito positivo e tre negative. L’unico caso nella diocesi di Nicosia si è invece risolto con un parere favorevole.
Mons. Murgano ha invitato le comunità cristiane impegnate nell’opera di formazione dei giovani che si preparano al matrimonio “aiutare, tutti, i giovani a scoprire e a vivere il senso della vocazione al matrimonio, della pienezza del dono e della missione della famiglia. È un annuncio che non può esaurirsi in un breve percorso prematrimoniale”.
Alla base della richiesta di annullare il matrimonio ci sono stante motivazione, spesso alla base c’è l’esclusione della indissolubilità, ma a cascata ci sono anche l’esclusione della prole, incapacità ad assumere oneri coniugali, violenza e timore, esclusione della fedeltà, esclusione della sacramentalità, dolo o anche errori sulla qualità della persona.
Un altro dato che purtroppo si evidenzia è la durata dei matrimoni prima di arrivare al divorzio. Le richieste di annullare il matrimonio si concentrano soprattutto nei primi dieci anni; i casi esaminati dimostrano un picco massimo nel secondo anno (46 casi in Sicilia) e al decimo (ben 62 casi regionali).
“Come comunità ecclesiale – ha detto Mons. Murgano – siamo chiamati ad essere annunciatori e portatori di verità e di speranza nella missione di accompagnamento e di sostegno alle famiglie”.

Operazione Go-Kart. Prefetto di Enna si complimenta con i Carabinieri

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Il Prefetto di Enna, Fernando Guida, ha ricevuto oggi il Comandante provinciale dei Carabinieri, Ten. Col. Daidone, accompagnato dal personale del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Enna e della Compagnia di Nicosia che, nei giorni scorsi, dopo lunghe ed articolate indagini, ha dato esecuzione ad oltre 50 ordinanze di custodia cautelare in carcere disposte, dal Tribunale e dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta, nell’ambito dell’operazione denominata “Go-Kart”.
Enna Operazione Go-Kart Prefetto
In occasione di tale incontro, il Prefetto ha espresso vivo apprezzamento per gli importanti risultati raggiunti in quanto, con questa operazione, le organizzazioni criminali presenti sul territorio della provincia – appartenenti a Cosa nostra ennese e ad una frangia del clan “Cappello” di Catania – sono state disarticolate. Una conferma ulteriore – ha detto il Prefetto – della professionalità e dell’impegno che la Magistratura e le Forze dell’Ordine, giornalmente, assicurano al fianco degli onesti cittadini, nella lotta per la legalità.

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Esauriti gli interrogatori degli arrestati dell’operazione Go-Kart di Catenanuova

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Kartdromo di CatenanuovaIl Gip David Salvucci ha esaurito il proprio giro di interrogatori di garanzia nei confronti dei 49 arrestati nel corso dell’operazione antimafia “go kart”, eseguito dal nucleo investigativo del comando provinciale e della compagnia di Nicosia, che ha interessato le famiglie di Cosa Nostra di Catenanuova e Regalbuto e del clan catanese dei Cappello. Non ci sono state modifiche dei contenuti della sua ordinanza di custodia, emessa su esplicita richiesta dei pm Roberto Condorelli e Giovanni Di Leo della Dda di Caltanissetta. Alcuni interrogatori sono avvenuti per rogatoria nel carcere Pagliarelli di Palermo, mentre il Gip era impegnato negli interrogatori di coloro che erano detenuti ad Agrigento e Caltanissetta. Intanto sono partiti i primi ricorsi al Tribunale del Riesame di Caltanissetta contro gli arresti. A comunicarlo sono stati i difensori di quasi tutti gli arrestati, i quali negli interrogatori si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, ma ci sono stati alcuni che hanno cercato di chiarire la loro posizione ed hanno dichiarato di essere estranei alle accuse. E intanto con il passar del tempo l’indagine si arricchisce di altre notizie a cominciare dal presunto clan di Cosa Nostra di Regalbuto, il quale oltre al traffico di droga, avevano iniziato ad operare nel campo delle estorsioni. Pare che un imprenditore, ricevuta la richiesta, sia andato a denunciarli, sarebbe andati da un commerciante che sarebbe stato invitato a versare duemila euro, che dovevano andare ad amici di Catania ed in giro si parlava che tutti gli imprenditori pagavano il pizzo a questo gruppo di persone. Il problema era che chi non pagava veniva a subire incendi o pestaggi. A Catenanuova, il pizzo era più alto, un imprenditore edile avrebbe ricevuto richiesta di 7 mila euro l’anno per essere a posto, poi la somma è stata convertita in 6 mila euro l’anno, da parte di Cosa Nostra ennese e dal clan Cappello; 500 euro era il pizzo che ha dovuto pagare un imprenditore edile per la realizzazione di un’opera privata a Centuripe, senza così subire danneggiamenti. Ma ci sono ancora altre storie da esaminare nel campo delle estorsioni agli imprenditori.


Confisca beni avv. Bevilacqua, i figli: rispettiamo la Giustizia, ma chiedono all’Agenzia di aspettare la sentenza di revisione tra 40 giorni

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sequestro beni
Barrafranca. Entro venerdì dovrebbero sgomberare la casa nella quale vivono, perché verrà eseguito il provvedimento di confisca divenuto definitivo il 10 aprile 2008.
Riceviamo dai quattro figli dell’avv.Raffaele Bevilacqua (che sta scontando un ergastolo al 41 bis e condannato anche per essere stato il reggente di Cosa nostra per la provincia di Enna), e pubblichiamo in merito alla prossima confisca dei beni, la seguente nota:

Dopo anni di lunga sofferenza, di accettazione e rispetto delle sentenze emesse nei confronti di nostro padre, abbiamo deciso di rompere il silenzio e rivolgerci pubblicamente alle istituzioni, alla collettività, alla Procura, ai Tribunali perché è giunto il momento di chiedere spiegazioni, pubblicamente, e solidarietà per ciò che ci sta accadendo.
Con provvedimento reso definitivo in data 10.4.2008, venivano sottoposti a confisca tutti indistintamente i beni patrimoniali della nostra famiglia, ivi compresi due immobili pervenuti nel patrimonio dei nostri genitori mediante atti pubblici, atto di donazione e testamento olografo.
Per testamento olografo è stata lasciata in eredità a nostro padre la casa di abitazione in cui viviamo la quale erroneamente è stata definita villa di 35 vani e continuamente fotografata da lontano e dall’esterno per far passare la notizia di una casa di lusso.
La nostra casa, invece, è quella che si vede in queste foto che abbiamo deciso di pubblicare. Quando, infatti, entrava nel patrimonio di nostro padre la stessa era allo stato rustico e così è sempre rimasta sino al suo primo arresto avvenuto nel 1992.
In giudizio sono state prodotte le fatture dei primi lavori effettuati che si sono limitati solo alla approssimativa rifinitura del piano terra. Gli stessi CTU nominati dal Tribunale di Enna in sede di giudizio di merito hanno accertato che la somma spesa poi da nostro padre per l’esecuzione di piccoli lavori di rifinitura era congrua e di provenienza legittima.
Teniamo a precisare che tutto quanto affermiamo è immediatamente appurabile con documenti anche perché questa nostra scelta è stata una scelta molto discussa con i nostri legali per cui non avremmo mai pensato di scrivere e rendere noto ciò che non potesse essere immediatamente constatato e appurato.
Al momento in cui nostra nonna paterna lasciava in eredità a nostro padre “il terreno e la casa che c’è nel terreno” (così letteralmente nel testamento) quella zona non era nemmeno illuminata e il terreno aveva un esiguo valore.
Errori sono stati commessi anche al catasto nell’indicare questo immobile come composto da 35 vani.
Dall’inizio della vicenda giudiziaria di nostro padre, seppure viviamo in una casa esternamente voluminosa la stessa è di fatto fatiscente e soprattutto ipotecata dalle banche a riprova dell’assenza di qualsivoglia ricchezza di Raffaele Bevilacqua, sia lecita che illecita. Nostra madre ha fatto tantissimi sacrifici per crescerci da sola, renderci uniti e farci stare bene se non tanto economicamente quanto emotivamente.
Nostra madre svolge il lavoro di insegnante e con tanti sacrifici e rinunce ci ha fatto studiare, insegnato a camminare a testa alta nonostante le testate giornalistiche periodiche sulla vicenda di nostro padre.
Ma se sulle sentenze che hanno condannato nostro padre per gravissimi reati per cui è stata allo stesso diagnosticata “la morte civile” con la pena dell’ergastolo che non ci permetterà mai più di avere un padre, sulle sentenze che hanno disposto la confisca, tra le altre cose, della casa di lascito ereditario, non possiamo arrenderci.
Col sostegno, la determinazione e la professionalità dei nostri avvocati abbiamo quindi intentato un giudizio di revisione perché può capitare a tutti gli essere umani, anche ai Giudici quindi, di incorrere bonariamente in qualche errore e l’istituto della revisione esiste proprio per questo, per riparare ad errori giudiziari in presenza di nuove prove o di prove esistenti e non valutate.
Il Tribunale di Enna, quindi, ritenendo verosimile l’accoglimento della revisione, per la forza delle prove documentali prodotte, sospendeva l’esecuzione della confisca e quindi veniva sospesa l’ordinanza di sgombero dell’immobile emessa nel 2008.
Fiduciosi quindi, che finalmente avevamo trovato un Tribunale che si era accorto di una svista macroscopica (gli atti pubblici), all’udienza in cui si sarebbe dovuti entrare nel vivo del processo di revisione e quindi i nostri legali avrebbero dovuto avanzare formalmente le richieste di acquisizione delle nuove prove, muta il Collegio, e senza alcuna spiegazione razionale, dispose che la causa doveva essere immediatamente decisa.
Inutile fu dire che eravamo in attesa, come aveva disposto anche il precedente collegio (che aveva sospeso l’esecuzione), di un fascicolo essenziale ai fini della causa, in quanto si profilava e si profila anche una ipotesi di ingiusto doppio giudizio, quel giorno la causa fu decisa e fu decisa negativamente.
Perché parliamo di doppio giudizio? Perché il sequestro dei beni dei nostri genitori fu disposto anche nel 1997, ma a seguito di precise e documentate dimostrazioni il procedimento non ebbe seguito.
Dopo otto anni, ossia nel 2005, nonostante che il patrimonio fosse rimasto identico a quello sequestro nel 1997, e non vi fossero stati incrementi, acquisti, movimenti, si decise di ri-sequestrare le stesse cose e addirittura confiscarle tutte.
Increduli anche noi, da profani siamo andati a studiare la legge e abbiamo appreso che comunque il sequestro non può riguardare indistintamente tutti i beni del proposto ma deve sussistere la prova certa della loro illegittima provenienza, prova certa che è richiesta con maggior vigore quando trattasi di beni di terzi, come in questo caso in cui la nostra abitazione era un bene di nostra nonna giunto per testamento.
Ma confidando sempre nella Giustizia, abbiamo appellato quella ingiustificabile repentina decisione di chiudere, nel bel mezzo della causa, il procedimento di revisione, e il procedimento è ancora in corso.
A decidere sarà, il prossimo mese di aprile, la Corte di Appello di Caltanissetta.
L’udienza è fissata per la data dell’8.4.2014.
Sull’autorità giudicante i nostri avvocati hanno sollevato questione di legittimità costituzionale per ragioni tecniche che non è nostra competenza sapere; sappiamo solo che, trattandosi di revisione, e tenuto conto che nostro padre è stato più volte giudicato a Caltanissetta per i reati che lo vedono condannato, la Corte di appello competente dovrebbe essere Catania, ad ogni modo la riserva verrà sciolta i primi giorni di aprile e, se sarà negativa, ossia se verrà ritenuta incompetente la Corte di appello di Catania, la causa dovrà discutersi giorno 8.4.2014 a Caltanissetta.
Qual è però la vicenda più grave e la ragione per cui abbiamo inteso rendere nota questa storia: ci viene chiesto entro venerdì prossimo, quindi entro il 28.2.2014, lo sgombero della nostra casa!
A fronte di serissime questioni di diritto e di fatto che abbiamo più volte esposto per iscritto, una per tutte l’impossibilità di trovare – allo stato – una immediata alternativa ci viene comunicato dalle forze dell’ordine che il provvedimento di sgombero del 2008 deve essere eseguito immediatamente.
Ora, vero è che la sospensione dell’esecuzione è stata travolta da quel repentino rigetto del Tribunale in un’unica udienza, ma è anche vero che contro la revoca della sospensione pende appello e che, in ogni caso, dopo aver atteso sei anni per lo sgombero cosa cambia attendere altri 40 giorni, ossia la definizione del giudizio di revisione?
Si rischia di lasciarci senza un tetto irragionevolmente.
Forse si presume che la revisione deve andare male?
Anche per questo abbiamo deciso di rendere pubblica la nostra vicenda processuale, perché purtroppo il fatto che nostro padre è stato condannato per reato associativo ha comportato una valanga di pronunce basate su automatismi disarmanti.
Ma questa volta, sulla richiesta di una precisa e capillare valutazione delle prove, vogliamo fare un appello pubblico e vogliamo fidarci, confidare e credere nella Corte di appello che deciderà della revisione.
Noi, nonostante quello che abbiamo attraversato, continuiamo a credere nella Giustizia perché se si applica la legge così come noi da profani l’abbiamo letta, la nostra unica casa di abitazione non può esserci tolta perchè la prova della legittima provenienza è stata accertata, non ci stancheremo mai di dirlo, dagli stessi periti del Tribunale.
Quel poco che oggi ci rimane, è frutto dei sacrifici di uno stipendio statale di nostra madre che ha pagato, fino a quando ha potuto, i debiti lasciati da nostro padre e non c’è comunque riuscita.
La nostra situazione, a prescindere dalla sentenza che ha condannato nostro padre, non è certo quella che si legge nei libri o si vede nei film, ossia quella di una famiglia mantenuta dalla mafia.
Non ci capacitiamo del perché ci si è ostinati (e poi con quali prove?) a ritenere di illegittima provenienza questa struttura fatiscente quando oggi la maggior parte della gente, anche chi non ha svolto la professione di avvocato come nostro padre, possiede una casa certamente migliore della nostra, ha impianti satellitari che noi non abbiamo, ha l’aria condizionata che noi non abbiamo. Eppure, si sta organizzando lo sgombero di una intera famiglia dall’unica casa di abitazione mentre tutto è ancora in gioco rifiutandosi, tutti gli organi interessati all’esecuzione, di attendere la definizione del procedimento di revisione per una inspiegabile impellenza di eseguire dopo sei anni dall’ordinanza sospesa questo sgombero a distanza di 40 giorni dalla discussione della causa.
Perché?
Noi una spiegazione stiamo cercando di darcela.
Probabilmente, ogniqualvolta occorre dare una risposta circa la presenza delle istituzioni del nostro piccolo centro barrese e nell’intera provincia di Enna, la strada più facile è sempre quella di tirare in ballo Raffaele Bevilacqua e la sua famiglia.
Così come, in occasione delle consultazioni elettorali, un candidato che abbia voluto infangare l’avversario, ha ritenuto di accostarlo a Raffaele Bevilacqua, il cui nome, in occasione delle consultazioni comunali (come avvenuto attraverso lettere che sono state diffuse per l’elezione del sindaco di Barrafranca alle penultime elezioni) o in altre consultazioni, viene utilizzato quale insulto al competitore.
Nostro padre ci ha lasciati da soli da più di dieci anni e per il resto della nostra vita visto la che sua pena non finirà mai.
Nostro padre sta scontando la sua pena e non è a Barrafranca da decenni, noi a malincuore abbiamo accettato e stiamo sopportando la sua assenza, ma ci tirate sempre in ballo quando c’è da riempire una pagina di giornale o dare risposte alla comunità. Lasciateci attendere il corso della Giustizia nella quale vogliamo e continuiamo a credere.
Tra l’altro non stiamo chiedendo di non toglierci un tetto che per legge deve esserci tolto, stiamo chiedendo di attendere che i Giudici rivisitino questo errore, questa svista, certamente verificatasi in buona fede, e applichino la legge.
Chiediamo di rimanere a casa sino a questa pronuncia, la cui udienza sarà celebrata in forma pubblica per le garanzie di quella Giustizia che chiediamo.
I nostri legali hanno chiesto, sulla scorta delle serie argomentazioni di fatto e di diritto che connotano questo ricorso, formalmente una proroga all’agenzia nazionale dei beni confiscati che ben conosce la situazione processuale, eppure, dopo sei anni di stasi, dispone repentino sgombero entro venerdì 28 febbraio.
Chiediamo che l’Agenzia ci risponda per iscritto alla richiesta di proroga e in caso di diniego chiediamo che metta per iscritto quello che ha comunicato verbalmente ad un legale: tanto le revisioni non vengono mai accolte (A CHI L’HANNO DETTO?).
Ci rifiutiamo di accettare questa sentenza già data e vogliamo continuare a credere nella corretta applicazione della legge, così come i nostri genitori ci hanno sempre insegnato.
E se la Corte di appello in sede di revisione riuscisse a travolgere le prove documentali di questa provenienza certa della nostra casa di abitazione, pubblicamente ci impegniamo a lasciare la nostra casa, senza necessità di sgomberi forzosi, telecamere e titoloni di questo grande intervento.


Bevilacqua RaffaeleRaffaele Bevilacqua, 64 anni, era avvocato penalista molto quotato e tra la fine degli anni ’80 e di primi anni ’90 venne eletto consigliere provinciale nelle liste della Democrazia cristiana. Nel 1992 Bevilacqua venne arrestato nell’ambito dell’operazione Leopardo per associazione mafiosa sulla base delle dichiarazioni dei pentiti Messina e Severino. Viene nuovamente coinvolto in un’inchiesta antimafia nel 2003 e poi nel 2006 quando viene accusato di essere stato uno dei mandanti del delitto Calcagno, per il quale è stato condannato all’ergastolo.
A seguito dell’inchiesta Leopardo, nel 1997 fu disposto il sequestro di tutti i beni, ma il procedimento non ebbe seguito a fronte di atti e documenti che i giudici ritennero di lecita provenienza e congruo ai redditi dei coniugi Bevilacqua. Nel 2005 dopo le nuove accuse contestategli dalla Dda nissena, viene disposto nuovamente il sequestro sul patrimonio che comunque è immutato rispetto al 1997. Nel 2008 viene disposta la confisca che riguarda anche la casa di Barrafranca in cui vive ancora la sua famiglia composta dalla moglie e dai quattro figli.

Piazza Armerina. Operazione “Zero in condotta” il punto di vista del responsabile del SerT

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SerTPiazza Armerina. L’operazione “Zero in condotta” offre lo spunto anche per verificare come le istituzioni socio – sanitarie operano nel campo delle problematiche legate alla diffusione delle tossicodipendenze e conseguentemente alle attività di prevenzione e alla riabilitazione di chi vive disagi connessi all’abuso ed alla dipendenza di sostanze psicoattive come le droghe. Nell’Asp Enna sono attivi i tre SerT (Servizi per le Tossicodipendenze) di Enna, Nicosia e Piazza Armerina, inoltre l’Osservatorio Epidemiologico Provinciale Dipendenze di Enna. Queste strutture semplici confluiscono nell’Area Dipartimentale Dipendenze Patologiche, il cui direttore, dott. Vinicio Romano, ci spiega: “I SerT da anni sono impegnati nelle azioni di informazione e di prevenzione tra i giovani tra i 13 e i 18 anni, nelle scuole di ogni ordine e grado; tali intenti informativi e di prevenzione sono rivolti a salvaguardare la salute come bene primario, alla promozione della salute come benessere psicofisico e diritto della persona, al benessere dei gruppi dei pari e delle famiglie”. “L’abolizione della legge Fini-Giovanardi -continua- ha riaperto il dibattito, mai sopito del resto, sulla liceità del consumo di cannabis, sulla liberalizzazione o meno. Sul piano scientifico diversi studiosi hanno “dimostrato” la influenza dannosa dell’abuso di cannabis per il cervello degli adolescenti in fase di sviluppo e crescita, anche se i dati, sono talora rivisti e riletti secondo varie angolazioni”. Gli ultimi dati rilevano che i SerT della provincia di Enna hanno assistito 1605 utenti, 639 di questi con problemi legati all’uso e abuso – dipendenze da sostanze stupefacenti. Per l’abuso di Cannabis come sostanza primaria, cioè come abuso principale per cui si chiede un trattamento presso il SerT, nel 2013 sono stati in carico nei tre SerT, 112 utenti di sesso maschile e 4 di sesso femminile, mentre per l’abuso di cannabis come sostanza secondaria, ossia come “accompagnamento” ad altre sostanze sono stati in carico 132 uomini e 3 donne.
Marta Furnari

Operazione “Zero in condotta”: una rete organizzata e con regole ben precise, anche con libro mastro

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Dara Massimo

Dara Massimo

I fratelli Massimo e Vincenzo Dara, nativi di San Cono, avevano costruito una articolata rete criminale nello spaccio delle sostanze stupefacenti, che era stata suddivisa in più sodalizi, i quali avevano un capo, che era in diretto contatto con i fratelli Dara, quindi sotto di loro c’erano i collaboratori pusher e quelli che erano incaricati di andare a smerciare la droga al minuto. Il rifornimento avveniva con una certa rapidità in modo da poter soddisfare le esigenze dei tossicodipendenti. I primi ad essere riforniti erano quelli che operavano all’interno dell’Istituto Professionale di Piazza Armerina, i quali una volta smerciata la droga e ricevuti i soldi andavano dai capi per consegnare i soldi e farsi dare altra droga. La droga veniva venduta anche ai minorenni. I fratelli Dara dei collaboratori diretti ed indiretti tenevano una specie di libro mastro, dove erano segnati nomi e le quantità di droga che veniva loro affidata. A volte c’erano delle richieste immediate ed allora si andava a prelevare la marijuana dalla campagna dove veniva sotterrati i bidoncini con la sostanza essiccata.
Dara Vincenzo

Dara Vincenzo

Il gruppo di San Cono era guidato dai fratelli Dara, che erano chiamati produttori direttori, quindi c’erano sei collaboratori tra cui il fratello Gianluca, 6 pusher e cinque collaboratori per la vendita al minuto. A Mirabella Imbaccari sempre a guidare il gruppo i fratelli Dara con 6 puscher ed un collaboratore; a Piazza Armerina, San Michele di Ganzaria e Realmente sempre i fratelli Dara 3 puscher e 3 collaboratori pusher tra cui Maria Stivala;
Giarrizzo Giovanni

Giarrizzo Giovanni

a Pietraperzia a dirigere il movimento c’era Giovanni Giarrizzo, che estendeva le sue attività anche a Barrafranca e Caltagirone con tre fornitori, una collaboratrice che era Barbara Gelso di Caltanissetta ed un pusher. A Piazza Armerina c’era Carmelo Arena con tre pusher, che gestiva quasi in proprio le sostanze stupefacenti. Particolare curioso la fidanzata di Carmelo Arena lo aveva minacciato di andare dalla madre per denunziarlo in quanto spacciava droga e di segnalare pure i suoi collaboratori. Nonostante tutta questa rete i fratelli Dara riuscivano non solo a controllare la situazione delle varie località, ma anche a farsi pagare sull’unghia in caso contrario droga non ne usciva. Il loro sodalizio era abbastanza consolidato anche dal punto di vista finanziario visto che avevano la disponibilità, in contanti, di circa 60 mila euro e questo consentiva loro di acquistare velocemente la droga nel caso che ce ne fosse bisogno. Tutti questi movimenti di entrate ed uscite, di collaboratori diretti ed indiretti era nel loro libro mastro, dove in bella calligrafia c’erano tutti i movimenti. Il Procuratore Ferrotti e il Sostituto Rio si sono meravigliati della precisione ed esattezza di tutti i movimenti, ed erano veramente tanti, che il territorio aveva e che erano sotto il controllo di Massimo e Vincenzo Dara. Per tre soggetti Barbara Gelso, 21 anni, Davide Filippo Russo di Pietraperzia e Giuseppe Domenico Stringi, pure di Pietraperzia il provvedimento emesso nei loro confronti è quello dell’obbligo di presentazione tutti i giorni alle 18 presso le stazioni dei carabinieri.


news di riferimento:
Operazione “Zero in condotta”, GdF esegue 40 arresti per droga nell’ennese, nell’agrigentino e nel catanese. Droga spacciata al Professionale di Piazza Armerina nel 2012

Incidenti lavoro: operaio di Nicosia cade e muore a Letojanni

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incidente sul lavoroUn operaio e’ morto mentre era impegnato nei lavori di manutenzione dell’acquedotto di Letojanni (Messina). La vittima, Salvatore Bongiovanni, 58 anni, di Nicosia, e’ caduto mentre durante un intervento alla condotta idrica in contrada Cirilio Papale. Vani i soccorsi. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco ed i carabinieri della Compagnia di Taormina.

(AGI)

Operazione “Zero in condotta”. La preside dell’IPIA di Piazza Armerina: “Nessuno dei ragazzi coinvolti è attualmente nostro studente”

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piazza armerina professionaleL’attività investigativa che ha avuto il suo epilogo ieri, con l’arresto di 40 giovani, è iniziata con le video riprese effettuate dai finanzieri all’interno del cortile di una scuola secondaria superiore di Piazza Armerina. Si tratta dell’Ipia “Boris Giuliano”, la cui dirigente, prof.ssa Marinella Adamo, ha rilasciato delle precisazioni in merito alla vicenda: ”Nessuno dei giovani coinvolti nell’operazione frequenta attualmente il nostro istituto scolastico e preciso che solo alcuni di essi, negli anni scorsi, sono stati nostri alunni. Dirigo questa scuola dal settembre 2013; chi mi ha preceduto, notando atteggiamenti legati a fenomeni di devianza, si è giustamente rivolto alle forze dell’ordine. Così, nel primo semestre del 2012 sono state avviate le indagini che hanno portato all’individuazione dei responsabili”.
“Noi – sottolinea – siamo in rete contro il fenomeno delle dipendenze con altre istituzioni presenti sul territorio. Anche in questo caso non ci siamo tirati indietro e abbiamo voluto affrontare il problema, collaborando, sebbene il nostro compito sia prioritariamente educativo e non repressivo tout court. Nello specifico, siamo giornalmente impegnati in attività di prevenzione e di sostegno di studenti che vivono in una società disgregata ed in crisi valoriale. Moltissimi ragazzi subiscono situazioni di disagio e di solitudine alle quali reagiscono cercando rifugio nelle droghe con il conseguente coinvolgimento negli ambienti malavitosi”.
La dirigente continua: “La scuola non può da sola vincere una battaglia così grande, ma può impegnarsi a dare un contributo fattivo”. Rispetto al nulla che circonda i ragazzi, noi cerchiamo di tessere loro attorno la rete di una politica scolastica inclusiva, in collaborazione con i Sert, le associazioni di volontariato, i servizi sociali e tutta la parte sana della società unita contro l’uso della droga. Tra le tante iniziative, mi piace ricordare gli sportelli di ascolto all’interno della scuola e il progetto in collaborazione con “Gli amici di San Patrignano”, con l’obiettivo di vedere i nostri ragazzi protagonisti nella costruzione di un loro progetto di vita.

Barrafranca. Sgomberato l’immobile di proprietà di Raffaele Bevilacqua

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Bevilacqua RaffaeleEnna. Personale del Comando Provinciale dei Carabinieri di Enna ha proceduto allo sgombero coatto del fabbricato urbano sito nel Comune di Barrafranca – già confiscato a Raffaele Bevilacqua, avvocato penalista, condannato all’ergastolo per l’omicidio dell’imprenditore Domenico Calcagno e per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto ritenuto dagli inquirenti il rappresentante provinciale di Cosa nostra nell’Ennese.
Nel corso della Riunione Tecnica di Coordinamento presieduta dal Prefetto di Enna dott. Guida, con la partecipazione del Sindaco del Comune di Barrafranca, il 19 febbraio scorso sono state concordate le modalità per lo sgombero di tale immobile nonché la possibile destinazione del bene.
L’immobile, infatti, sebbene già confiscato, era occupato dai familiari e, per tale motivo, è stato necessario ricorrere allo sgombero al fine di restituire il suddetto immobile alla collettività di Barrafranca.
Secondo quanto manifestato dal Sindaco, infatti, l’immobile, appena consegnato all’Amministrazione comunale, sarà destinato a impieghi sociali.
Al riguardo, il Prefetto ha espresso vivo apprezzamento per l’intendimento manifestato dall’Amministrazione comunale, ritenendo che l’utilizzo, a fini sociali, dei beni confiscati alla criminalità organizzata, costituisca una simbolica restituzione delle risorse sottratte dalle organizzazioni malavitose alla collettività.
Nell’aggiungersi alle brillanti operazioni realizzate dalle Forze dell’Ordine nelle ultime settimane e che hanno disarticolato la criminalità organizzata in Provincia di Enna, l’operazione odierna costituisce – ha aggiunto il Prefetto – un ulteriore passo avanti sulla strada del ripristino della legalità.

Vedi anche:

Confisca beni avv. Bevilacqua, i figli: rispettiamo la Giustizia, ma chiedono all’Agenzia di aspettare la sentenza di revisione tra 40 giorni

Maltrattamenti sui bambini. Enna: condannati i quattro della casa alloggio Quadrifoglio

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maltrattamenti-minoriC’è la conferma di quattro condanne per un totale di tre anni e mezzo di reclusione nel processo d’appello nei confronti dei quattro dipendenti della casa alloggio “il Quadrifoglio”, dove nel 2007 un’indagine della squadra Mobile evidenziò maltrattamenti sui bambini. Tre imputati oltre ad avere la sospensione della pena, viene concesso loro anche il beneficio della “non menzione” nel casellario giudiziale. La Corte di appello di Caltanissetta, presieduta dal giudice Letterio Aloisi, ha confermato la condanna a un anno e 6 mesi per l’ennese Mario Marasà, difeso dagli avvocati Giovanni Palermo e Giuliana Conte, che, nel 2007, era il più stretto collaboratore della titolare della casa alloggio, che è imputata col giudizio ordinario, in primo grado, dinanzi al Tribunale collegiale di Enna. Sono state confermate a 8 mesi di reclusione le condanne per maltrattamenti, a carico di tre ex dipendenti, gli ennesi Luigi Riviera, Francesco Maddalena e Cristian Gino Tinebra, i primi due difesi dagli avvocati Palermo e Conte mentre Tenebra è difeso dall’avvocato Michele Baldi. La conferma della condanna data in primo grado era stata chiesta dal Pg Lucia Brescia. Si chiude il primo troncone del processo, che riguardava le posizioni, stralciate, di quelli che, in primo grado, avevano scelto il rito abbreviato. Mario Marasà è stato condannato per maltrattamenti a danno dei piccoli ospiti del centro e per una presunta truffa, rimasta da un’ipotesi di appropriazione indebita derubricata dal Gup David Salvucci. Alla lettura della sentenza, presenti in aula varie parti civili rappresentati da alcune famiglie dei piccoli ospiti del centro, che sarebbero stati maltrattati, che erano assistiti dagli avvocati Patrizia Di Mattia, Eleanna Parasiliti, Vito Vignera, Andrea Di Salvo e Calogero Buscarino; il Comune di Troina, assistito dall’avvocato Fabio Artimagnella, si è costituito parte civile. I quattro imputati sono stati condannati anche al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese nei confronti delle parti civili.


Enna. Imprenditore assolto dall’accusa infamante di avere abusato sessualmente della figlioletta

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abuso sessualeE’ stato assolto dall’accusa infamante di avere abusato sessualmente di una figlioletta, accuse che poi alla fine sono risultate non vere per cui avrebbe il diritto di avere accanto i figli, invece questo non è successo ed il padre continua ad aspettare di potere avere, dopo tre anni, i figli vicino. La più grande delle figlie, vent’anni, che poi era quella che lo aveva accusato di aver molestato sessualmente la sorellina di tre anni, è andata a vivere con il padre, quindi tutto sanato, solo che gli altri figli, che sono minorenni e vivono con altre famiglie, non li può vedere e questo lo angustia perché vorrebbe che la sua famiglia ritornasse a vivere con lui. “Adesso che è maggiorenne – dichiara il papà, che ha 67 anni ed imprenditore edile in pensione – mia figlia non ha più rapporti con le famiglie affidatarie, con gli psicologi e gli assistenti sociali; è tornata a vivere con da me, da suo padre, questo sta a significare qualcosa di concreto, di importante per il futuro della mia famiglia. Da anni è costretto a frequentare per risolvere il suo caso il Tribunale di Enna e il Tribunale per i minori di Caltanissetta, perché vuole riavere i suoi figli. “Voglio capire perché i bambini vengono tenuti ancora lontani da me – continua l’imprenditore – non riesco a capire il motivo di questi ostacoli giudiziari. Visto che sono stato assolto dalle accuse infamanti perché non devono restituirmi i miei figli”. Il pensionato imprenditore chiede aiuto anche alla stampa, e si ritiene vittima di una congiura. “Chi può mi aiuti si faccia avanti – prosegue – perché quello che è capitato a me potrebbe succedere a chiunque”. I sue due figli minori, un maschio ed una femmina continuano a vivere nelle famiglie affidatarie, almeno per un altro anno, poi la decisione spetta al Tribunale dei minori di Caltanissetta. I giudici hanno stabilito che non li può incontrare e scrivono che “il padre non può esigere, allo stato attuale della comunicazione e relazione familiare, un rapporto affettivo dai figli ma lo può sperare, ricostituendolo nel tempo, accogliendo, quali condizioni opportune e migliori, le decisioni a cui il tribunale perverrà”.

Piazza Armerina. Rubato il pannello fotovoltaico che alimentavai segnalatori di pericolo su Ss 117bis

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pannelli luminosi pericoloPiazza Armerina. «Il furto dell’apparecchiatura fotovoltaica che alimenta i pannelli luminosi segnalatori di pericolo nei pressi delle curve mortali della strada statale 117 bis, triste teatro di parecchi incidenti, è un atto ignobile». Lo dice con tanta indignazione il deputato regionale piazzese Luisa Lantieri che nei mesi scorsi si è prodigata per l’installazione dei pannelli luminosi segnalatori di pericolo e il rifacimento del manto bituminoso oltre che per la realizzazione di altri accorgimenti nel tratto della strada statale 117 bis compreso tra il bivio Furma e il Parco naturalistico di Ronza, in cui lo scorso 30 novembre accadde un incidente mortale che coinvolse 3 automobili, 8 persone e registrò purtroppo la morte di 3 giovani donne.
Lantieri facendosi portavoce delle richieste della comunità che chiede di rendere più sicuro quel tratto di strada segnalandone il pericolo, in questi mesi si è recata più volte nella sede regionale dell’Anas, dove con l’ing. Tondi, responsabile regionale dell’ente ha concordato i necessari interventi. La prima parte di questi interventi, tra cui appunto l’installazione di 10 grandi pannelli luminosie delle barriere spartitraffico, è stata realizzata a fine gennaio, ma ignoti per ben due volte hanno rubato le cellule fotovoltaiche che consentono l’illuminazione dei pannelli. Ora Lantieri ha già avuto rassicurazioni da parte del responsabile Anas, ing. Nocera, sul fatto che i pannelli saranno di nuovo collocati inoltre il responsabile ha segnalato i furti alla polizia stradale.

mar. fur.

Cinquantenne ennese condannato per molestie telefoniche ad una venticinquenne

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molestie telefonicheEnna. E’ stato condannato a due mesi di reclusione con pena sospesa con risarcimento della vittima, un ennese, Francesco P., cinquantenne, che aveva molestato continuamente una donna con telefonate a sfondo sessuale, e non la prima volta che commette questo tipo di reato. Francesco P. per tre giornate ha tempestato di telefonate una donna, che vive in provincia, la quale non ce l’ha fatto più a sopportarlo per cui è andata presso la stazione di Enna dei carabinieri e lo ha denunciato. L’uomo continuava a telefonarle a qualsiasi ora, anche di notte, pronunciando volgarità sempre a sfondo sessuale, proponendole incontri sessuali quando per caso la donna rispondeva. La vicenda è partita il 28 marzo del 2010 ed è durata per diversi giorni. Alla fine la donna, che ha 25 anni, si è stancata ed ha deciso di denunciarlo ai carabinieri per chiudere la storia che poteva assumere aspetti pericolosi ed inquietanti. Il giudice monocratico, Giovanni Milano, ha ritenuto Francesco P. responsabile di molestie telefoniche e lo ha condannato a due mesi di arresto ed anche al risarcimento del danni alla vittima, che si era costituita parte civile, ed a rifondere alla donna le spese legali sostenute.

Nicosia: danno ambientale, sostanze oleose nelle acque del Salso e del torrente Gambero

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sostanze oleose fiumeNicosia. Centinaia di migliaia di litri di sostanze oleose altamente inquinanti riversate nel fiume Salso e nel torrente Gambero. Ipotizzato, oltre ai reati legati all’inquinamento di acqua pubbliche, anche quelli di danneggiamento e la distruzione di bellezze ambientali, dal momento che il Gambero è affluente del Cimarosa che è sottoposto a vincoli ambientali e paesaggistici, le acque giorni addietro erano di colore marrone scuro e oleose. Sono così stati effettuati i prelievi dei campioni che sono stati inviati all’Arpa per le analisi.
Alcuni giorni dopo sono cominciate ad arrivare le segnalazioni di allevatori e imprenditori agricoli sulle condizioni delle acque dei due fiumi ai quali è stato comunque comunicato che gli accertamenti erano già stati avviati di iniziativa. Nella zona operano tre oleifici e sembra che sarebbe già stata individuata la struttura che ha provocato la contaminazione, ma il riserbo è fittissimo e nei prossimi giorni potrebbero arrivare provvedimenti di sequestro per l’oleificio che ha causato la contaminazione. Secondo i primi accertamenti sul Salso sarebbero stati riversati almeno 700 mila litri di sostanze liquide scarti della lavorazione delle olive e della molitura. Si tratta di sostanze che provocano un inquinamento che rende le acque inutilizzabili ai fini agricoli e zootecnici. Tra l’altro il torrente Cimarosa confluisce nell’invaso Pozzillo, le cui acque approvvigionano una vastissima area agricola. I risultati delle analisi sono attesi e permetteranno di accertare la percentuale esatta di contaminanti oleosi e la loro natura, anche se la provenienza da processi di produzione dell’olio è comunque certa. Purtroppo sempre più spesso vengono accertate violazioni sia pure di diverso gravità nello smaltimento dei residui di lavorazione dei frantoi che dovrebbero attenersi a rigide norme per quanto attiene sia le acque di molitura sia gli scarti veri e propri della lavorazione delle olive che comunque sono dannosi per l’ambiente. Adesso si procederà all’identificazione prima della struttura dalla quale sono stati scaricati illegalmente i reflui e poi del titolare che verrà denunciato anche per la devastazione e il danneggiamento di bellezze naturali oltre che per l’inquinamento di acque pubbliche.

Scarcerato Riolo imputato di aver realizzato una coltivazione di mariuana a Gagliano

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Riolo-Antonino1La Seconda Sezione penale della Corte di Appello di Caltanissetta, presieduta dal dott. Sergio Nicastro, accogliendo l’istanza del difensore, l’avvocato Salvatore Timpanaro, ha disposto la scarcerazione di Riolo Antonino, di anni 37, sostituendo la misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari che l’imputato sconterà presso la sua abitazione di Gagliano C.to, presso la quale si è già recato senza scorta e libero nella persona come disposto nell’ordinanza di scarcerazione.

Il Riolo è imputato di avere illecitamente coltivato, all’interno del suo terreno posto in C.da Santa Margherita-Rocca Canne di Gagliano, una piantagione costituita da 112 piante di cannabis indica.

Il 9 settembre del 2012 i Carabinieri di Gagliano C.to, al comando del M.llo Pettinato, e della Compagnia di Nicosia avevano scoperto e posto sotto sequestro una piantagione di mariuana con piante di altezza variabile da un metro a oltre due metri e 195 incavi per la messa a dimora, con un vero e proprio impianto di irrigazione che si dipartiva da un laghetto sito nell’azienda del Riolo.

Il Riolo – tratto a giudizio e processato con il rito abbreviato prescelto dal suo difensore, avv. Salvatore Timpanaro – era stato condannato dal GIP dott. Stefano Zammuto a 4 anni e 6 mesi di reclusione. Il P.M. aveva chiesto, già computata la diminuente del rito abbreviato, anni 6 di reclusione, muovendo dalla pena base di anni 9.

La Corte di Appello di Caltanissetta il 26 novembre scorso aveva confermato la sentenza, avverso la quale l’ avvocato Timpanaro aveva subito preannunciato il ricorso per cassazione, presentando in data 21 febbraio alla stessa Corte nissena la richiesta di revoca della misura cautelare o di sostituzione della stessa con altra meno afflittiva (arresti domiciliari).

La Seconda Sezione della Corte – nonostante il parere contrario espresso dalla Procura Generale della Repubblica – ha accolto la richiesta dell’avv. Salvatore Timpanaro ed ha sostituito, in attesa del giudizio degli ermellini della cassazione, la misura degli arresti domiciliari.

L’Avv. Timpanaro – raggiunto telefonicamente – ha espresso soddisfazione confidando, comunque, ancora nel giudizio della Corte di Cassazione: “Attendiamo fiduciosi la completa rimessione in libertà. L’imputato, infatti, non ha precedenti penali specifici che possano corroborare la tesi del collegamento con ambienti criminali . La pur mite sentenza – che si attesta, comunque, al di sotto del minimo previsto dalla legge, che prevedeva per il delitto di coltivazione una pena dai 6 ai 20 anni – confidiamo possa essere annullata dai supremi giudici”.

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